Mi fa un po' sorridere il modo in cui parecchia gente su internet, soprattutto i blogger che da anni seguono le serie tv, quelli che dentro di sé lo sanno che le serie tv le hanno inventate loro, ché quando guardavano West Wing loro già si esaltavano e gli altri invece pensavano solamente fosse l'ennesima cagata in onda su Rete 4, in questi giorni l'ha presa malissimo che The Newsroom, la nuova serie ideata e scritta da Aaron Sorkin (che è il tizio qui a fianco), in onda negli Stati Uniti da qualche settimana, non sia esattamente un capolavoro. Per loro sfortuna, The Newsroom è stato stroncato da ogni giornale americano e su quelli italiani, i cui giornalisti la serie la vedono scaricata da internet, ma non lo dicono, anche Dipollina di Repubblica lo ha definito un "disastro". E pensare che Sorkin, che è l'autore proprio di West Wing e soprattutto lo sceneggiatore premio Oscar di The Social Network, è uno di quei nomi che oggi fa tanto figo conoscere, forse l'unico sceneggiatore noto anche al grande pubblico, specie quello che guarda le serie tv, per l'appunto, intellettuali pop che al cinema, se ci vanno, ci vanno per vedere i film sui supereroi, mentre gli altri un po' meno, quasi mai anzi, perché i film oramai sono fuori tempo, sono lunghi e vecchi, mentre le serie sono belle e rendono belli, ci dicono chi siamo dove andiamo e perché andiamo, oltre a creare tanto affetto e amore per i personaggi. Sorkin, insomma, è l'ultimo grande autore di Hollywood. Addirittura c'è chi ne cita solamente il nome ("si fa Sorkin", come dice uno dei pezzi linkati qui sotto) e dà per scontato che si sappia cosa si intende (una cosa del tipo: gente importante che parla in modo arguto di politica o giornalismo o denaro o potere o tutte queste cose insieme). Una volta, poi, mentre ero in fila a Venezia, sentii usare l'espressione "Sorkin" come modello di scrittura per il cinema: "quel film è Sorkin girato da Pakula"... Insomma, roba grossa. E se Sorkin toppa, a qualcuno fa un po' male. E quindi giù a scrivere del pilot come se fosse l'evento dell'anno, giù a cercare di giustificarsi se la serie piace, giù a dire che no, proprio non va, questa volta Sorkin ha deluso... Ebbene, alla fine l'ho visto pure io The Newsroom, le prime due puntate almeno, e senza essere un fan di Sorkin, anzi ammettendo che prima di The Social Network nemmeno ne conoscevo (colpevolmente) l'esistenza, devo dire che non è poi così male come la raccontano.
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giovedì 19 luglio 2012
mercoledì 12 ottobre 2011
Hugo - Parte II
Tempo fa ho scritto questo post tutt'altro che entusiasta a proposito di Hugo, l'imminente film in 3D di Scorsese che fin da subito ha dato l'impressione di essere un progetto da far cadere le braccia e dopo essersi palesato con il trailer ha fatto pure passare la voglia di raccoglierle, le suddette braccia. Invece ieri parecchi siti di cinema, e oggi pure Repubblica, erano pieni di elogi alla versione in progress del film presentata a sorpresa al Festival di New York, una manifestazione piccola che non vale una mazza ma che gode del fatto di avere vicini di casa importanti e di essere utilizzata dalle major (lo scorso anno fu così con The Social Network) per testare uscite importanti previste per l'autunno. Insomma, a leggere certi commenti in giro, per quanto scritti da spettatori che hanno espresso via Twitter il loro entusiasmo o da giornalisti non proprio rigorosi, sembra che il trailer da prodotto per famiglie sia fuorviante, che dopo un inizio da cinema per ragazzi il film prenda il volo e che nella seconda parte diventi un bellissimo omaggio al cinema delle origini. Come al solito, Scorsese avrà deciso di mettere in scena la sua passione da cinefilo con una memoria di ferro, magari con effetti migliori rispetto a quelli mummificati di Shutter Island. Poi magari il film è brutto lo stesso, ma è confortante leggere che forse Martin è tornato a stupire. E da figlio tradito pronto a perdonare, se mantengo i dubbi e le paure, comincio pure a sperare in qualcosa di buono: magari va a finire come con A Dangerous Method di Cronenberg.
lunedì 28 febbraio 2011
Intendiamoci...
Due parole due sulla notte degli Oscar, già per altro previste in questo post (non perché io sia un figo, ma perché l'esito di quest'anno era particolarmente scontato). La vittoria a mani basse del Discoro del re è non solo la dimostrazione che quelli dell'Academy notoriamente non capiscono un tubo di cinema, ma soprattutto capiscono solo il cinema che hanno in testa, quello predisposto per premi come questo, acquietato e borghese, per signore e per spettatori con un'idea blanda di opera d'arte, popolare e lussuosa. Intendiamoci, non c'è nulla di male nel film di Tom Hooper, ma ce n'è nella regia su commissione di costui, nel fatto che abbia vinto contro Nolan e i Coen, e pure contro gente non proprio perfetta come Fincher, Aronofsky o O'Russell, ma sicuramente interessante e imprevedibile. Intendiomoci ancora, del premio Oscar importa ormai poco, ma premiare Il discorso del re significa chiudere la porta a quella costante opera di revisione che il cinema americano compie su stesso e che dalla fine del periodo classico rappresenta la sua vera grandezza: non solo in Inception o in Il grinta, ma pure nel Cigno nero, che è un film pieno di difetti e ingenuità, in The Fighter, che è un'opera potente per quanto assolutoria, e soprattutto in The Social Network, che è il film più attuale e urgente di tutti quelli candidati a un premio. Il discorso del re è cinema d'alta qualità che mette tutti d'accordo: proprio per questo motivo non dovrebbe avere bisogno di un Oscar. E proprio per questo ne ha vinti almeno quattro immeritati.
sabato 19 febbraio 2011
n. 500
È uscito in edicola il n. 500 di Cineforum, che per la rivista corrisponde anche al compimento dei 50 anni di attività. Per celebrare l'evento il direttore Adriano Piccardi ha deciso di offrire a tutti i suoi collaboratori un film a scelta tra quelli recensiti da Cineforum dal 1961 a oggi. Io ho scelto Toro scatenato e il testo lo si può leggere qui, nell'anteprima del numero. Naturalmente ci sono altre 49 pezzi molto interessanti, scritti da gente brava e in certi casi famosa, tornata per l'occasione a scrivere su Cineforum dopo anni. La lista dei film la si trova nell'indice e poi sfogliando pagina per pagina, anno per anno, storia del cinema per storia del cinema. Sullo stesso numero, poi, dopo la carrellata dei 50 film c'è anche un mio pezzo su The Social Network. Sarebbe meglio comprarlo in edicola, ma la versione on line è parecchio bella, per cui buona lettura.
giovedì 13 gennaio 2011
L'autore annientato e poi rinato
Domenica verranno assegnati i Golden Globe, i premi della critica americana che arrivano prima degli Oscar e spesso ne anticipano i risultati. I cinque film candidati per il 2010 sono Black Swan di Daren Aronofsky, The Fighter di David O. Russell, Inception di Christopher Nolan, The Social Network di David Fincher e Il discorso del re di Tom Hooper, che probabilmente faranno parte anche della cinquina di nominati tra un mese e mezzo. Tra questi, l'unico che ha la struttura adulta, elegante e per signore che un tempo andava forte in questo periodo dell'anno e contava spettacoloni borghesi come Voglia di tenerezza, La mia Africa, Il paziente inglese e ultimamente Revolutionary Road (al cinema non esiste quasi più, ma in tv c'è eccome, da Desperate Housewife a Mad Men), è Il discorso del re, un drammone storico-politico come si fanno in Inghilterra dopo il successo di The Queen e che parla dell'interessantissima questione della balbuzie di Giorgio VI. Gli altri quattro titoli, invece, sono film atipici, diretti non da un comprimario come Hooper, che ha il pregio di essere inglese e non rompere le balle, ma da altrettanti registi in pista da un sacco di anni e solo ora, scordata in parte o ridiscussa l'autorialità degli esordi, hanno cominciato a farsi strada nelle maglie di Hollywood.
domenica 12 dicembre 2010
Complesso di copia - III
Ho appena finito di leggere Solar di McEwan, ieri sera ho visto l'ultimo film di Woody Allen, Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni, e qualche settimana fa ho scritto di The Social Network di Fincher. Due film e un romanzo usciti nel 2010, che appartengono a generi diversi - la farsa grottesca, la commedia sentimentale, l'inchiesta - che per toni, atmosfere, intenti non potrebbe essere più distanti, ma che sono accomunati dalla presenza di un tema ricorrente e, secondo me, specifico dei nostri tempi. Il tema del furto di un'idea, del plagio non autorizzato, della copia che si sostituisce all'originale e lo supera. In Solar si tratta di un progetto per generare energia dalla fotosintesi, nell'ultimo Woody Allen un romanzo rubato a un amico creduto morto, in Fincher è la nota controversia legale tra Zuckerberg e i gemelli Winklevos sulla paternità di Facebook: due storie false ma veritiere, una vera trasformata in finzione. Tre modi per sondare un problema che deve per forza essere un'ansia contemporanea, legata probabilmente allo spazio immenso della rete, luogo a parte dove ogni parola, frase o pensiero, questi compresi, nel momento in cui vengono postati perdono autorità e diventano di tutti (ovvero il presupposto di Wikipedia), dove il privato si espone in piazza (e queso è Facebook) o dove il complesso di copia di carte di credito, dati personali, password genera continui sistema di protezione e istinti di autocontrollo. Viviamo di paure, lo sappiamo, e l'ultima in ordine di tempo è quella che ci rubino l'identità: con Facebook ci sono andati vicini e chissà che non ci siano già riusciti.
sabato 13 novembre 2010
iTunes di provincia
Nella sua rubrica Dekoder, Dipollina ha parlato ieri della Apple Tv e della possibilità di noleggiare film su iTunes. "Un giorno o l’altro", ha scritto, "sarebbe il caso di creare un mercato vero, mettendo a disposizione tutti quei film che escono al cinema solo nelle grandi città e poi spariscono, che in provincia non arrivano e in tv nemmeno o quasi, compresa la produzione italiana indipendente. Quello sarà un bel giorno". Già, sarebbe proprio un bel giorno: peccato però che non arriverà mai, perché le persone che avrebbero soldi e interessi per allestire un servizio del genere, sono gli stessi che hanno soldi e interessi per produrre film con budget milionari e se ne fottono della produzione indipendente o dell'elevazione culturale del pubblico di provincia e di quello televisivo (che poi, forse, sono la stessa cosa). Lo si diceva anche dieci anni fa, quando cominciarono ad arrivare le multisale: sarà un risorsa per il cinema, dicevano gli esercenti in malafede, ci saranno più sale e dunque più proposta. Sto cazzo, cari esercenti in malafede. In una provincia come la mia, nelle multisale che costeggiano i campi piatti e le strade diritte, non passa più nulla, solo robaccia americana o, peggio, italiana: di tutti i film di cui ho parlato ultimamente - Post mortem, Uomini di dio, The Social Network, Noi credevamo, L'illusionista, Potiche e pure il bellissimo Animal Kingdom, di cui parlo domani e che è davvero un filmone potente e implacabile - nessuno è passato e nessuno sta passando. Mi chiedo solo se poi a qualcuno interessi davvero che arrivi quel bel giorno auspicato da Dipollina: non è che forse lo sperano solo quelli che vivono in città e che dunque non ne avrebbero poi così bisogno?
mercoledì 10 novembre 2010
The Social Network di David Fincher
Tra due giorni arriverà nelle sale italiane The Social Network, a un mese dall'uscita americana e a una settimana dall'anteprima doppiata del Festival di Roma. Su questo blog ne avevo parlato qui, senza ancora averlo visto, prendendomela con l'uso arbitrario di un paio di aggettivi della lingua inglese e italiana. Ora che il film l'ho visto, e l'ho messo come testata qui sopra, ne parlo ancora, quasi sicuro che sarà ricordato come una delle opere-specchio dei nostri tempi. Un film, cioè, impotente di fronte alla nullità devastante della sua materia, che assorbe in un torrente di parole e in un intreccio inesistente l'inconsistenza materiale della rivoluzione di Facebook. Non è visivamente bello, non è narrativamente avvincente, per qualcuno magari sarà pure una gran palla. Ma proprio per queste ragioni, è un filmdellamadonna. E' un abisso dello sguardo cinematografico di fronte alla profondità inesistente di internet, mondo folle e inarrestabile come il guasto alle linee telefoniche impazzite di La scopa del sistema di Foster Wallace, che alla fine del libro inghiottivano le persone e le loro parole e le trasformavano in nulla, nella frase spezzata dell'ultima battuta incompleta del libro, in una parola assente e per questo totale, tutto e negazione della sua totalità (ed era il 1987 e quel genio anticipava di dieci anni il mondo che avremo tra le mani nei prossimi due secoli).
sabato 9 ottobre 2010
Il vanto e la paura del nuovo
Ieri il critico dell'Unità Alberto Crespi ha pubblicato un articolo sulla Festa Internazionale del Film di Roma che rappresenta perfettamente quello che ho scritto a proposito della sindrome da sabato del villaggio della stampa italiana: l'attesa cioè di un evento mediatico che diventa quasi più importante dell'evento stesso, o quanto meno occupa, in proporzione, più pagine di giornale. Non è che ce l'abbia con Crespi, che pure tra i quotidianisti è uno dei migliori, ma il suo articolo alla "spera in dio" sui film della selezione, con quel riprendere le parole della direzione - «poche star, molti giovani» - quel mettere l'accento su «l’aspettativa - o la speranza, se volete - che fra i giovani spunti qualche nuovo talento inaspettato», fa risaltare perfettamente i vizi di chi in Italia organizza eventi culturali e di chi ne scrive sui giornali. E' evidente, infatti, come del resto suggerisce Crespi, che se Roma si vanta dei suoi giovani è perché non può permettersi i grandi nomi delle prime edizioni (ché quando c'erano Scorsese, Coppola, Sean Connery, Ioseliani e Cimino non ci pensava nemmeno a farsi bella con l'understatement), ma è altrettanto chiaro che se da Roma usciranno giovani di talento, non saranno certo i quotidianisti a notarli.
martedì 28 settembre 2010
La moda delle OST chic
Pare che far firmare la colonna sonora da un artista noto sia l'ultima frontiera del cinema hollywoodiano: sicuramente un altro modo per arricchire il curriculum di un film e dare materiale agli uffici stampa per guadagnarsi pagine sui giornali. Così ultimamente è successo che i Phoenix abbiano firmato le musiche di Somewhere (partiture anonime in una compilation molto indie: Strokes, Gwen Stefani, T-Rex, Foo Fighters, i Phoenix stessi), che Bjork abbia composto per un film d'animazione islandese e che i giornali on line di musica in questi giorni parlino molto delle canzoni di Trent Reznor dei Nine Inch Nails per The Social Network o delle musiche dei Daft Punk per il sequel di Tron, Tron: Legacy, in arrivo a Natale in tutto il mondo (tranne - indovinate un po' - in Italia). Insomma, sono mode, come sempre succede con Hollywood, e sicuramente ne arriveranno altre, ma non è detto che in mezzo ci scappi pure qualcosa di bello.
Per chi volesse, le canzoni di The Social Network si possono scaricare qui.
Mentre questa è la canzone dei Phoenix che sta in Somewhere.
Per chi volesse, le canzoni di The Social Network si possono scaricare qui.
Mentre questa è la canzone dei Phoenix che sta in Somewhere.
sabato 25 settembre 2010
Even Darker Than You Thought
Ieri ho letto sulla versione on line di Newseek una bella recensione di The Social Network, il film di David Fincher sul creatore di Facebook Mark Zuckerberg, uscito ieri in America (da noi l'11 novembre, tanto per non smentirci). L'autore Jeremy Carter parte con una citazione da Piccola città di Thorton Wilder per riflettere su quanto i social network siano la realizzazione delle paure più intrinseche della nostra società: la solitudine che accompagna l'indipendenza e il disagio che accompagna la libertà (“the loneliness that accompanies independence and the uneasiness that accompanies freedom"). Il punto di vista è quello del film, naturalmente, che dipingerebbe Zuckerberg come un personaggio solo e disadattato e farebbe di tutto per convincere lo spettatore a non sperare di diventare come lui, nonostante i milioni di dollari guadagnato più o meno casualmente in dieci anni. Staremo a vedere, quando anche qui uscirà il film.
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