Le altre visioni del weekend, per chi avesse tempo e voglia di andare al cinema e farsi consigliare da questo blog, prevedono un altro film francese uscito da poco nelle sale. Si chama L'illusioniste, l'ha diretto Sylvain Chomet, lo stesso regista di Appuntamento a Belleville, e probabilmente lo si troverà solo nelle grandi città: un vero peccato, perché si tratta di un film d'animazione gentile e delicato, un omaggio al cinema di Tati che prende una sua vecchia sceneggiatura irrealizzata, la riadatta allo stile pittorico e alle atmosfere passatiste del disegnatore francese e ne ricava un film sull'assurdità dei sogni e l'inesistenza della magia. L'aspetto è quello di una cartolina illustrata ad acquerello, la fragilità dello sguardo pure, con i colori sfumati, le linee sicure ma un po' sbilenche e un senso del grottesco che minaccia ma non sovrasta la malinconia dell'insieme. Tati è presente nella figura del protagonista, un illusionista sulla via del tramonto che lo ricorda fisicamente, e un po' meno nelle gag, che giustamente Chomet non se la sente di rifare e sceglie perciò di omaggiare direttamente, attraverso cioè le immagini del vero Tati, quando il protagonista entra in un cinema dove si proietta Mio zio e di fatto si trova a specchiarsi con lo schermo.
La cosa più interessante del film è che sotto la patina della carineria riesce ad aprire squarci di realtà spietata, con la fine delle illusioni che riguarda non solo una pratica artistica svanita per colpa del cinema, ma coinvolge soprattutto la ragazzina co-protagonista, una poverella accudita dall'anziano illusionista che ha il volto disneyano della piccola fiammiferaia, ma si rivela una stronzetta irriconoscente e interessata solo alla realizzazione dei suoi sogni. Lo fa con gentilezza, certo, ma alla fine il suo salvatore glielo dice chiaro e tondo che nella vita le magie non esistono e bisogna cavarsela da soli: tenero e malinconico sì, scemo e sfruttato non proprio.
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