Domenica verranno assegnati i Golden Globe, i premi della critica americana che arrivano prima degli Oscar e spesso ne anticipano i risultati. I cinque film candidati per il 2010 sono Black Swan di Daren Aronofsky, The Fighter di David O. Russell, Inception di Christopher Nolan, The Social Network di David Fincher e Il discorso del re di Tom Hooper, che probabilmente faranno parte anche della cinquina di nominati tra un mese e mezzo. Tra questi, l'unico che ha la struttura adulta, elegante e per signore che un tempo andava forte in questo periodo dell'anno e contava spettacoloni borghesi come Voglia di tenerezza, La mia Africa, Il paziente inglese e ultimamente Revolutionary Road (al cinema non esiste quasi più, ma in tv c'è eccome, da Desperate Housewife a Mad Men), è Il discorso del re, un drammone storico-politico come si fanno in Inghilterra dopo il successo di The Queen e che parla dell'interessantissima questione della balbuzie di Giorgio VI. Gli altri quattro titoli, invece, sono film atipici, diretti non da un comprimario come Hooper, che ha il pregio di essere inglese e non rompere le balle, ma da altrettanti registi in pista da un sacco di anni e solo ora, scordata in parte o ridiscussa l'autorialità degli esordi, hanno cominciato a farsi strada nelle maglie di Hollywood.
Una volta succedeva il contrario: si cominciava con i film che volevano i produttori (magari dopo un esordio indipendente e folgorante, vedi Scorsese, Lynch, Spielberg, Bogdanovich) e poi si acquisiva quel tanto di autorevolezza per farsi gli affaracci propri. Dagli anni '90 in poi, invece, grazie alla diffusione delle scuole di cinema e alla cinefilia dei registi in erba, si è invertita la tendenza: si è veterani dell'autorialità già dopo due film e poi si finisce beatamente tra le braccie dell'industria, magari perché le cose vanno bene fin da subito e allora perché farsi del male da soli (Nolan e Fincher) o perché si gira della robaccia inguardabile, tipo The Fountain o I Heart Huckabees, e poi tocca ripartire da zero (Aronofsky e Russell).
Quel che conta è che gente come gli ultimi due, e in misura minore anche gli altri, sono ex promesse del cinema americano che fin da subito hanno instaurato rapporti ambigui con la produzione, reintepretando abilmente i concetti di autorialità e artigianato. A prescindere dai loro risultati artistici o commerciali (e lo stesso Nolan, ora giustamente considerato un autore vero, è dovuto passare per la medietà di Insomnia dopo le iperboli di Memento), hanno tutti abbracciato le dinamiche dell'opera su commissione, accettando di girare remake, sequel o più semplicemente opere che si adattano allo spirito dei tempi, visto che pure lo splendido The Social Network è in fondo un film di sceneggiatura come le milleduecento serie tv che passano su ogni canale e la ritrovata vena stilistica del Russell del pur bellissimo The Fighter (con quella macchina leggera, libera e selvaggia nei sobborghi dell'America povera) sembra piuttosto seguire le tendenza stilistiche del cinema indie riformulato a Hollywood piuttosto che un'esigenza personale. La ricompensa, certo, è il successo, ma soprattutto la possibilità di far passare lo stile un po' slabbrato che fa tanto opera d'arte e la fortuna di vedersi restituire la patente d'autore dentro la bustina di plastica trasparente.
analisi lucidissima e completamente condivisibile. anche perchè questo baldi giovani hanno lì davanti il destino (tra amaro e amarissimo) toccato in sorte ai duri e puri - vedi lynch...
RispondiEliminaè indubbio, tuttavia, che la hollywood di oggi abbia ritrovato abilità negoziali dei tempi d'oro tra esigenze spettacolari e autorialità. merito, anche, dei percorsi e delle scelte di certi attori strappabiglietti (non dimentichiamoli, va, leonardo in primis)