martedì 5 ottobre 2010

Ecco perché penso che Inception sia un grande film

Nel weekend mi sono fermato un attimo e ho buttato giù un po’ di idee su Inception, il film di Nolan che sta fecendo discutere il pubblico e la critica italiani (un altro esempio qui). Il pezzo per intero comparirà sul prossimo numero di Cineforum, mentre qui ne metto solo una parte, dove tra l'altro si parla anche dell'immagine che sta qui sopra, come testata del blog. Per chi scrive, Inception è un grande film, non necessariamente un capolavoro o un film perfetto: è una riflessione per nulla filosofica o teorica, ma puramente cinematografica, materialmente cinematografica, sulla natura del cinema americano classico, sulle ragioni pratiche e psicologiche che portano quel tipo di narrazione a raccontare ogni volta la stessa cosa (il trauma della perdita e la disunione della coppia) e mettere in scena sempre lo stesso repertorio iconografico e simbolico (la casa unifamiliare). Nell'altra pagina, se vi va.


[...] In Inception ogni sogno è un colpo sferrato alla superficie del film, alla sua stessa struttura, che attraverso uno straordinario processo di visualizzazione è rappresentata come un luogo fisico, esistente e materiale: ovvero l’immaginario di Cobb, l’isola sovraccarica di costruzioni che crollano con il passaggio da un sogno all’altro, accumulo enciclopedico e fragile di ricordi, desideri, speranze, ossessioni. Qui lo spazio è proiezione dei desideri e misura dei fallimenti, è l’immaginazione che sovrasta il senso della misura, che raddoppia all’infinito, specchio contro specchio, la figura di un uomo nel contesto urbano, con un movimento a uscire uguale e contrario a quello che porta invece a un approdo unico, riconosciuto e riconoscibile: la casa unifamiliare di tanto cinema americano.

[...] Come già Shutter Island, con cui Inception presenta diversi punti in comune, se non il solo che conti, quello cioè della disunione familiare, la casa indica la fine di una peregrinazione soprattutto mentale. Con la differenza che Scorsese sceglie un immaginario cinefilo e museificato, mentre Nolan ricontestualizza in uno spazio onirico l’iconografia classica della casa americana, non diversamente da quanto fatto dagli Arcade Fire in The Suburbs, concept su un’idea di spazio reale e metaforico, sui luoghi della memoria che resistono a ogni passaggio mountains beyond mountains, così come qui la resistenza del trauma rimane intatta dreams beyond dreams.

[...] Costruendo il film come una continua scissione di unità narrative, spaziali e temporali, scatole cinesi che si contengono l’un l’altra e slittano l’una sull’altra, Nolan giunge al cuore inafferrabile del cinema americano, alla casa familiare che al suo interno contiene un’altra scatola (la cassaforte), che a sua volta contiene l’oggetto-totem possessore del film stesso, la trottola, il correlativo oggettivo di un mondo costruito a partire da continue spinte centrifughe, ma ricomposto e racchiuso in un elemento unico che non a caso si muove solo su stesso senza progredire nello spazio. [...]

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