Venerdì uscirà nelle sale Uomini di Dio, il film francese di Xavier Beauvois che a Cannes ha vinto il Grand Prix della Giuria. Racconta la storia vera di sette monaci cattolici che vivevano sulle montagne dell'Algeria, che convivevano pacificamente con la gente del luogo, di fede musulmana, e che vennero uccisi dai fondamentalisti islamici, durante la guerra civile, nel maggio 1996. Un film toccante, senza fronzoli, semplice e lineare come gli uomini di cui parla, da interpretare non seguendo il fuorviante titolo italiano, ma riandando al titolo originale francese, Des hommes et des dieux, che parla "di uomini e di dei", perché sono gli esseri umani nel loro sforzo di convivenza e nell'onestà della loro fede i veri protagonisti. Il film di Beauvois è un gesto cordiale verso gli spettatori, non chiede altro che partecipazione emotiva: lo si capisce a un certo punto, quando durante una cena i sette monaci ascoltano un'aria dal Lago dei cigni di Čajkovskij, questa, la più famosa, quella che tutti conoscono, anche chi, come me, di classica sa poco o nulla.
Il momento è lungo, intenso, la musica cresce e così i primi piani silenziosi dei sette amici che sanno il destino che li spetta. Beauvois non si risparmia la commozione, chiede la lacrima, ma non la forza, si mette semplicemente al piano degli uomini onesti e puri di cui parla, della loro saggezza e semplicità, al servizio delle loro passioni comuni e non ricercate, proprio come la musica di Čajkovskij, tanto meravigliosa quanto, per l'uso che ne abbiamo fatto, scontata.
E' lì, in quel momento facile eppure bellissimo, che ho visto uno degli esempi più sinceri e folgoranti di popolarità dell'arte, di bellezza accessibile a ogni forma di pubblico, uno di quei mantra della cultura che quasi mai viene realizzato. L'importanza o la forza dell'arte non si riducono certo alla sua accessibilità, ma l'equilibrio estetico è una qualità rara: non per forza la migliore, ma probabilmente, in tempi come i nostri, la più necessaria.
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