Visualizzazione post con etichetta Philip Roth. Mostra tutti i post
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lunedì 5 marzo 2012
Compleanni
Qualche giorno fa, venerdì 2 marzo, è stato il settantesimo compleanno di John Irving, lo stesso giorno di Lou Reed, che pure lui ne faceva settanta. Volevo scrivere pure io il mio post celebrativo, con la citazione dalle Regole della casa del sidro e il link a wuocondewuaildsaid, ma poi me ne sono dimenticato e i settant'anni dei due sono passati. Siccome però va un sacco di moda ricordare i compleanni postumi, le commemorazione in morte, il giorno in cui tizio ha fatto la cosa per cui ora non è più semplicemente tizio ma uno famoso, dopo che il 29 febbraio tutti parlavano di Gioacchino Rossini come se tutti sapessero che era nato il 29 febbraio, dopo che per i cinquant'anni di Foster Wallace sono uscite un sacco di cose interessanti, dopo che fin da questa mattina presto ho letto pezzi sui trent'anni dalla scomparsa di John Belushi e sugli ipotetici novanta di Pasolini, ho deciso di dedicare il post di oggi al fatto che tra quattordici giorni Philip Roth compirà settantanove anni, tra centodiciassette Sufjan Stevens trentasette, tra trecentosette E. L. Doctorow ottantadue, tra duecentocinquatasette Scorsese settanta e che tra ventinove giorni ne saranno sedicimilaesettantuno da quando Martin Luther King è stato ucciso. Per questo motivo metto il link alla canzone che gli hanno dedicato gli U2, visto che tra sette giorni il bassista Adam Clayton compirà cinquantadue anni.
lunedì 19 dicembre 2011
Philip Roth e il cinema d'autore
Sulla Repubblica di oggi Antonio Monda intervista Philip Roth, e per quanto il pezzo sembri piuttosto una conversazione tra conoscenti che non un servizio ai lettori, con Monda che si limita a chiedere a Roth cosa abbia letto o visto ultimamente, emergono un paio di cose interessanti. Ad esempio, la segnalazione dell'anticipazione sul New Yorker di un racconto che farà parte della nuova raccolta di Nathan Englander, What We Talk About When We Talk About Anne Frank (il link è qui, ma bisogna essere abbonati per leggerlo); oppure il fatto che Roth veda un sacco di film, e in questo momento li preferisca ai romanzi. Il fatto non sembra degno di nota, ma in realtà lo è, essendo raro trovare artisti, intellettuali o addirittura registi, che siano consumatori di cinema e conoscitori della produzione d'autore. Mai visto, infatti, gente così poco informata sul cinema come i tanti giovani registi conosciuti in questi anni di frequentazioni festivaliere. Se sono americani, poi, e hanno fatto la scuola di cinema, citano Antonioni e Tarkovskij come esempi di avanguardia pura, al massimo si spingono fino a Kenneth Anger o Lynch, e sembrano farsi bastare la cosa. Per cui, insomma, sapere, ad esempio che De Lillo ami il cinema di Eugène Green, o che, come avevo letto tempo fa, lo stesso Roth abbia amato il penultimo film di Assayas L'heure d'été, che in Italia non è nemmeno arrivato, o che al momento stia vedendo i film di Susanne Bier perché lei gli ha chiesto i diritti di Nemesis, mi lascia sorpreso. Poi, certo, uno potrebbe spiegare a Roth che la Bier è una regista mediocre, e che è meglio non si faccia troppe illusioni sul film che ne verrà fuori, giusto un pizzico migliore di La macchina umana o Elegy, ma non si può avere tutto. L'importante è che la cosa non degeneri e finisca poi come con Bret Easton Ellis, che su Twitter blatera continuamente di cinema con lo stile stupidamente provocatorio di chi pensa di essere fico perché ama la roba commerciale e disdegna Alexander Payne...
domenica 21 agosto 2011
Memoria esterna
C'è un mio amico che ha un blog. Memoria esterna, si chiama. Lo trovate nella colonna destra qui sotto. E' un blog di memorie, di racconti di ricordi, di ricordi che nascono da fotografie seppiate e sbiadite. Una cosa molto intima, eppure a suo modo universale, perché il legame che abbiamo con le immagini è soprattutto affettivo e tutti proviamo affetto per delle immagini. Non solo perché è tenuto dal mio amico, Memoria esterna è un bel blog. E il post comparso oggi è di quelli che meritano di essere citati anche da chi solitamente in un blog parla d'altro. Perché è un pezzo commovente, perché è vero, perché parla di Roth e di quel capolavoro mai abbastanza ricordato che è Patrimonio. Le sue parole non le cito, mi limito a linkarle. Però metto il passaggio citato in cui Roth parla del padre poco prima che questi se ne vada, mentre si trova accanto al letto di morte:
Lo osservai intensamente, come per la prima volta, e continuai ad aspettare che nella testa mi si formassero altri pensieri. Ma non ne arrivarono più, nessun altro pensiero tranne questo: che dovevo fissarmelo nella memoria per quando fosse morto. Forse gli avrebbe impedito di sbiadire e diventare etereo col passare degli anni. «Devo ricordare con precisione, - mi dissi, - ricordare ogni cosa con precisione, in modo che quando se ne sarà andato io possa ricreare il padre che ha creato me». Non devi dimenticare nulla.
lunedì 13 giugno 2011
C'è luce
Quando ci sono i risultati delle elezioni, e magari le elezioni si rischia di vincerle, mi viene difficile scrivere post intelligenti. O addirittura scrivere del tutto, di ogni cosa vista, letta o ascoltata. L'altro ieri, ad esempio, ho visto I guardiani del destino, il film con Matt Damon e Emily Blunt tratto da un racconto di Philip K. Dick che dovrebbe uscire la prossima settimana: è piccolo piccolo, ma ha alcune cose parecchio interessanti sul rapporto tra narrazione e spazio (un po' come Inception, ma un metro sotto) che mi piacerebbe approfondire. Ma non ne ho voglia, per cui passo. Ieri poi ho finito di leggere Nemesi di Roth, che per quanto sia un libro piccolo pure lui e minore, con l'autore che scrive chiaramente con il freno a mano tirato, ha dice dice nondimeno alcune cose illuminanti sul vuoto di responsabilità e sulle paure della società contemporanea. Avrei anche qui delle cose da scrivere, soprattutto se le penso in relazione a certe commedie hollywoodiane dove quello stesso senso di colpa viene esorcizzato nel cazzeggio (dice niente Una notte da leoni?), ma di nuovo non ne ho voglia, per cui ne scrivo un altro giorno. Insomma, niente da fare. Oggi è il pomeriggio in cui si rischia di vincere un'altra elezione e in cui, magari, faccio le corna, possiamo pensare di rivedere la luce in fondo al tunnel. Per cui oggi non scrivo e mi godo il risultato, ripensando alla scena di finale del film qui sotto, dove alla fine si vede la luce...
lunedì 14 marzo 2011
Prima e dopo
Continuo a guardare filmati dal terremoto giapponese e di conseguenza a farmi domande sul perché non riesca a smettere. La più ovvia riguarda il fascino che tutta quella devastazione racchiude, l'orrore che risplende e le reminiscenze da cinema catastrofico che evoca: ma non c'è risposta al fascino dell'orrore, solo un'impotenza innamorata e colpevole. Semmai, provo a dare una risposta all'ossessione del prima e dopo che vedo nelle gallerie di Repubblica. Questo è quello che c'era prima, questo quello che c'è ora; là dove c'era l'erba, ora c'è il fango, là dove c'era una città, magari tra qualche anno, bonificato il terreno, ci sarà di nuovo l'erba. In mezzo, tra le foto del prima e quelle del dopo, l'immagine mancante, l'immagine che continuiamo a vedere e cercare, quella che cattura il momento dell'arrivo dell'onda e provoca uno shock dell'anima prima che degli occhi. So bene cosa manca lì in mezzo per rendermi soddisfatto fino in fondo; so bene che tutto ciò che ho visto fino a ora è il riflesso di un'assenza, di un rimosso. So bene che se tra il prima e il dopo vedessi delle persone travolte dall'onda, assaporando così il gusto della morte in diretta, la mia bulimia da immagini sarebbe appagata. Le immagini del prima e del dopo aggirano questo folle desiderio, lo evocano senza chiamarlo direttamente in causa. Lo dice anche Roth in Il complotto contro l'America, che sono i vestiti abbandonati nelle case, le valigie dimenticate sul selciato della stazione, a dare il senso di un olocausto. E lo fa vedere Spielberg in La guerra dei mondi, che sono ancora i vestiti lasciati a colare sugli alberi, segno fisico di una morte che ha cancellato il corpo, a racchiudere l'orrore della sparizione. Qui siamo alle prese con lo stesso sentimento: una sparizione che sta tra un prima e un dopo, che vediamo e continuiamo a vedere, ma che non finirà mai di affamarci fino a quando non vedremo per davvero quei cadaveri sulle spiagge.
mercoledì 9 febbraio 2011
Nemesi e Vizio di forma
Da Einaudi sono in uscita i nuovi romanzi di due tra i più grandi scrittori americani ancora viventi: Roth e Pynchon. Il primo ha scritto l'ennesimo romanzo breve di questa sua fase creativa, Nemesi, e a quanto pare siamo ai livelli del Complotto contro l'America, alla controstoria ambientata a Newark negli anni '40, tra i ricordi d'infanzia dell'autore e l'elegia di una nazione inesistente, il vero tesoro narrativo di Roth, il fulcro della sua scrittura gigantesca e potentissima. In questi anni Roth ha rischiato la svalutazione per eccesso d'offerta, ma i suoi ultimi lavori vanno presi come frammenti di un unico grande romanzo, una tragedia americana dalle potenzialità infinite, massimalista e universale. Qui si trova un'intervista in italiano all'autore e anche il testo originale, in inglese e più lungo. L'altro romanzo è Vizio di forma di Thomas Pynchon, il più postmoderno degli scrittori americani, quello che scrive quasi sempre cose incomprensibili, che costruisce strutture così complesse e articolate che uno a un certo punto si fa sedurre dalla confusione e perde interesse per il libro in sé. Questa volta però, a 70 anni e come sempre nascosto dal mondo, pare abbia cambiato stile e scritto un romanzo leggere e divertente, un noir ambientato negli anni '60 che è una dichiarazione d'amore a quel periodo. Buona lettura, per chi avesse ancora voglia di scrittori grandi da sempre.
venerdì 14 gennaio 2011
La versione di Barney dieci anni dopo
Alla fine ho visto La versione di Barney. Come Francesco Merlo. E ho letto il libro, dieci anni fa. Come quasi tutti, compreso Merlo. Visto adesso fa un certo effetto. E a parte celebrare i dieci anni dalla morte di Richler, il film sembra concepito dal ministero della cultura canadese come una vetrina di prodotti d.o.c, con i cammei di Cronenberg e Arcand, le canzoni di Leonard Cohen (almeno tre, e nemmeno delle più ricercate), l’hockey e i paesaggi naturali esposti come prosciutti in fiera. Fa un certo effetto, soprattutto, perché oggi uno come Barney Panofsky non è più attuale, ma è il simbolo di un’epoca e un secolo passati, per quanto sia doloroso ammetterlo. Solo dieci anni fa, quando il libro arrivò in Italia, tra le urla di giubilo di D’Orrico e Ferrara si fece a turno a identificarsi nella follia superomistica del personaggio, un eroe modernista e pienamente novecentesco ben felice di essere dannato e modellato sui villain sociopatici e sessuomani di Bellow e Roth. Oggi, invece, passato un decennio e anche di più (il romanzo è del 1997), di quell’adorabile figlio di puttana di Barney non sappiamo che farcene: in fondo, alla fine, resta un povero coglione e la compassione l’abbiamo spesa tutta per Herzog o per Sabbath.
giovedì 1 luglio 2010
Quando Lucy era buona
Oggi è una gran giornata. In una libreria del centro ho trovato del tutto casualmente la prima (e a quanto pare unica) edizione italiana di un libro di Philip Roth praticamente introvabile: Quando Lucy era buona. Un romanzo del 1967, scritto prima di Il Lamento di Portnoy, tradotto e stampato da Rizzoli nel 1970. Magari ne esistono parecchie di copie di questo libro, ma da una ricerca su aNobii risulta che solo in diciannove persone lo posseggono. Ora mi manca di trovare La freccia del tempo di Martin Amis, che non è mai più stato ristampato, e posso morire felice. Qual è il vostro libro perduto, desiderato, mai stretto tra le mani?
mercoledì 21 aprile 2010
Nuove vecchie resistenze
Domenica prossima sarà il 25 aprile e siamo tutti d'accordo che la Resistenza è un valore, che la libertà è una conquista, che la Costituzione va difesa e bla bla bla... L'altro giorno, lavorando alla preparazione di questo evento, mi sono ricordato di una frase da Indignazione di Roth (uno a caso...) e dopo non sono più riuscito a pensare ad altro di altrettanto resistente. Ci penserò anche domenica, per ora rimetto qui la frase.
"(…) che scelta aveva Marcus, cos’altro poteva fare se non, dal Messner che era, dall’adepto di Bertrand Russell che era, battere il pugno sula scrivania del decano e dirgli per la seconda volta: Vaffanculo?" (Philip Roth Indignazione)
"(…) che scelta aveva Marcus, cos’altro poteva fare se non, dal Messner che era, dall’adepto di Bertrand Russell che era, battere il pugno sula scrivania del decano e dirgli per la seconda volta: Vaffanculo?" (Philip Roth Indignazione)
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