Visualizzazione post con etichetta Bret Easton Ellis. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Bret Easton Ellis. Mostra tutti i post

lunedì 19 dicembre 2011

Philip Roth e il cinema d'autore

Sulla Repubblica di oggi Antonio Monda intervista Philip Roth, e per quanto il pezzo sembri piuttosto una conversazione tra conoscenti che non un servizio ai lettori, con Monda che si limita a chiedere a Roth cosa abbia letto o visto ultimamente, emergono un paio di cose interessanti. Ad esempio, la segnalazione dell'anticipazione sul New Yorker di un racconto che farà parte della nuova raccolta di Nathan Englander, What We Talk About When We Talk About Anne Frank (il link è qui, ma bisogna essere abbonati per leggerlo); oppure il fatto che Roth veda un sacco di film, e in questo momento li preferisca ai romanzi. Il fatto non sembra degno di nota, ma in realtà lo è, essendo raro trovare artisti, intellettuali o addirittura registi, che siano consumatori di cinema e conoscitori della produzione d'autore. Mai visto, infatti, gente così poco informata sul cinema come i tanti giovani registi conosciuti in questi anni di frequentazioni festivaliere. Se sono americani, poi, e hanno fatto la scuola di cinema, citano Antonioni e Tarkovskij come esempi di avanguardia pura, al massimo si spingono fino a Kenneth Anger o Lynch, e sembrano farsi bastare la cosa. Per cui, insomma, sapere, ad esempio che De Lillo ami il cinema di Eugène Green, o che, come avevo letto tempo fa, lo stesso Roth abbia amato il penultimo film di Assayas L'heure d'été, che in Italia non è nemmeno arrivato, o che al momento stia vedendo i film di Susanne Bier perché lei gli ha chiesto i diritti di Nemesis, mi lascia sorpreso. Poi, certo, uno potrebbe spiegare a Roth che la Bier è una regista mediocre, e che è meglio non si faccia troppe illusioni sul film che ne verrà fuori, giusto un pizzico migliore di La macchina umana o Elegy, ma non si può avere tutto. L'importante è che la cosa non degeneri e finisca poi come con Bret Easton Ellis, che su Twitter blatera continuamente di cinema con lo stile stupidamente provocatorio di chi pensa di essere fico perché ama la roba commerciale e disdegna Alexander Payne...

lunedì 25 ottobre 2010

For-fucking-ever

Questa settimana uscirà da Einaudi un cofanetto con tutte le opere di Salinger. Ci saranno Il giovane Holden, Franny e Zooey, i Nove racconti, Alzate l'architrave, carpentieri e Seymour. Poi basta, più niente che sia venuto dalla penna di uno degli scrittori più conosciuti del '900, anche lui diventato un brand come tutti i non molti altri capaci di superare le barriere dell'autorialità per entrare nel regno della diffusione di massa. Salinger non ce lo dimenticheremo mai, è un grandissimo nonostante la produzione infinitesimale, lo consideriamo un maestro, uno che ha continuato a scrivere anche quando aveva smesso di farlo, lo abbiamo letto tutti e lo rileggeremo ancora, magari dedicando un po' più di attenzione per le opere extra-Holden, che sono bellissime e a tratti pure superiori. Faremo tutto questo e anche di più, penseremo i pensieri definitivi su di lui e verremo a patti con il suo mito una volta per tutte. Poi, una volta finito, se possibile, riporremo il malloppone sul ripiano della libreria e andremo a festeggiare il fatto che sia morto, come auspicava Ellis nel suo famoso messaggio su Twitter che vedete qui sopra.

giovedì 14 ottobre 2010

Bret Easton Ellis e la normalizzazione del mito

Ieri sera, Torino, Circolo dei lettori. Incontro con Bret Easton Ellis, sala gremita e tante domande. Un ragazzo chiede allo scrittore cosa pensi di Fernanda Pivano, di cui in termini cronologici è stato uno degli ultimi amori letterari. Lo scrittore ci pensa su e poi dice una cosa inattesa che mi ha fatto pensare. Dice, in sostanza, che la Pivano era una donna appassionata di uomini non solo da un punto di vista intellettuale, che era affascinata da un certo tipo di autore americano maschio, di cui Hemingway è stato il modello ed Ellis l'ultimo rappresentante. Prima ancora, certo, ammette il suo enorme debito di riconoscenza verso una grandissima intellettuale, ma ci tiene soprattutto "a rimettere la palla al centro", a smitizzarne la figura, non il ruolo, e a inserire la sua azione in una dimensione umana, non fittizia, emotiva ed erotica.

domenica 10 ottobre 2010

L'eterno ritorno

Tra due giorni, il 12 ottobre, uscirà Imperial Bedrooms di Bret Easton Ellis: lui sarà in Italia, a Torino, Alba e Milano, e magari se mi riesce di andarlo a sentire ne parlo. Il libro non so come sia, avendone letti solo dei passaggi (ne avevo parlato qui), e devo dire che la prospettiva di un seguito di Meno di zero, specie da uno che da anni dichiara la fine dell'ispirazione, non mi sembra esaltante. Eppure Ellis è uno di quegli autori che hanno innegabilmente segnato il nostro tempo, interpretando la frammentarietà del postmoderno in senso letterale e assumendo su di sé, nella propria scrittura, la serialità a cui il consumismo ci ha condannati. Quello che soprattutto mi incuriosisce dell'uscita del suo nuovo romanzo è il fatto che tra una decina di giorni, il 22 ottobre, arriverà nelle sale il seguito di un altro simbolo degli anni 80 reaganiani e yuppie, capitalisti e dannati: Wall Street di Oliver Stone, che riporta in auge Gordon Gekko e aggiorna ai tempi della crisi lo sciacallaggio finanziario degli Stati Uniti.