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sabato 26 maggio 2012
Realtà asimmetrica
lunedì 19 dicembre 2011
Philip Roth e il cinema d'autore
Sulla Repubblica di oggi Antonio Monda intervista Philip Roth, e per quanto il pezzo sembri piuttosto una conversazione tra conoscenti che non un servizio ai lettori, con Monda che si limita a chiedere a Roth cosa abbia letto o visto ultimamente, emergono un paio di cose interessanti. Ad esempio, la segnalazione dell'anticipazione sul New Yorker di un racconto che farà parte della nuova raccolta di Nathan Englander, What We Talk About When We Talk About Anne Frank (il link è qui, ma bisogna essere abbonati per leggerlo); oppure il fatto che Roth veda un sacco di film, e in questo momento li preferisca ai romanzi. Il fatto non sembra degno di nota, ma in realtà lo è, essendo raro trovare artisti, intellettuali o addirittura registi, che siano consumatori di cinema e conoscitori della produzione d'autore. Mai visto, infatti, gente così poco informata sul cinema come i tanti giovani registi conosciuti in questi anni di frequentazioni festivaliere. Se sono americani, poi, e hanno fatto la scuola di cinema, citano Antonioni e Tarkovskij come esempi di avanguardia pura, al massimo si spingono fino a Kenneth Anger o Lynch, e sembrano farsi bastare la cosa. Per cui, insomma, sapere, ad esempio che De Lillo ami il cinema di Eugène Green, o che, come avevo letto tempo fa, lo stesso Roth abbia amato il penultimo film di Assayas L'heure d'été, che in Italia non è nemmeno arrivato, o che al momento stia vedendo i film di Susanne Bier perché lei gli ha chiesto i diritti di Nemesis, mi lascia sorpreso. Poi, certo, uno potrebbe spiegare a Roth che la Bier è una regista mediocre, e che è meglio non si faccia troppe illusioni sul film che ne verrà fuori, giusto un pizzico migliore di La macchina umana o Elegy, ma non si può avere tutto. L'importante è che la cosa non degeneri e finisca poi come con Bret Easton Ellis, che su Twitter blatera continuamente di cinema con lo stile stupidamente provocatorio di chi pensa di essere fico perché ama la roba commerciale e disdegna Alexander Payne...
lunedì 23 agosto 2010
Pile di libri
Negli Stati Uniti è uscito Freedom, l'ultimo romanzo di Jonathan Frenzen. Come per Sufjan Stevens, anche questo è un nuovo lavoro dopo anni di silenzio artistico. Che poi silenzio non è proprio la parola giusta, visto che Frenzen probabilmente detiene il record mondiale di frasi promozionali sulle copertine dei romanzi degli altri: un lavoro che, stando a quanto scrive Ellis in Lunar Park, viene strapagato. Solo negli ultimi mesi l'ho trovato sui libri di Haslett, Munro e Johnson: peccato per lui che non ami Roth, altrimenti avrebbe almeno una copertina all'anno. In ogni caso, i quotidiani americani ne hanno scritto benissimo (qui Il post fa un sunto dell'entusiasmo critico), facendo dire a tutti che l'autore di Le correzioni è tornato dopo il suo capolavoro del 2001 (che poi capolavoro non è proprio la parola giusta...). Il libro comunque esce a gennaio da Einaudi e lo traduce Silvia Pareschi.
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