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venerdì 12 aprile 2013

La prova generale

Qualche settimana fa è andato in onda sulla HBO Phil Spector di David Mamet, film per la tv che anche qui in Italia ha fatto un po' di notizia - per quanto possa fare notizia la tv americana di qualità, ché alla fine siamo sempre lì a dire quanto abbia cambiato le cose, ma poi col cazzo che da noi finisce sulla tv in chiaro (e in quei casi in cui ci finisce, come Boss sui Rai 3, dopo le prima due puntate in prima serata alla seconda settimana va direttamente alle undici di sera del sabato e poi più niente, basta solo che finisca sto strazio che ci rimettiamo la Leosini) - un film, dicevo, che ha fatto notizia perché affronta il caso di omicidio per cui è stato condonnato uno dei più famosi produttori musicali di sempre, perché uno dei più famosi produttori musicali di sempre viene interpretato da Al Pacino (che quando vuole la zampata la sa ancora dare, per non parlare della fantastica Hellen Mirren che gli sta a fianco) e perché a un certo punto del film, Al Pacino che interpetra uno dei più famosi produttori musicali di sempre indossa una parrucca assurda e stratosferica che esagera solo di un pochino la realmente assurda e realmente stratosferica acconciatura che lo stesso produttore musicale tra i più famosi di sempre sfoggiò durante un'udienza del processo che lo vide una prima volta non giudicato per mancanza di prove (ed è il periodo su cui si concentra il film) e una seconda condannato a diciannove anni di galera. E poi c'era il fatto che ultimamente Mamet sembrava essersi bevuto il cervello, almeno per noi italiani di sinistra che non riusciamo ad accettare la fede repubblicana di uno scrittore che stimiamo, e allora un po' di curiosità questo Phil Spector la sollevava. Ebbene, venendo finalmente al motivo per cui scrivo il post, questo Phil Spector non è affatto male: anzi, per chi scrive è un film notevole.

sabato 26 maggio 2012

Realtà asimmetrica

Domani Cannes finisce, io sono tornato a casa ieri sera e in mattinata ho fatto in tempo a vedere Cosmopolis (che contemporaneamente è uscito anche nelle sale italiane). Una visione scioccante, perché ammetto che mi aspettavo qualcosa di esplosivo, alla maniera del Cronenberg che tutti abbiamo in testa (e che forse sarebbe ora di ridiscutere), quello cioè delle mutazioni e delle interazioni con la tecnologia. Negli ultimi anni, invece, almeno a partire dalla Promessa dell'assassino, il cinema di Cronenberg è diventato un'operazione lucidissima - anche nella superficie dell'immagine digitale - sui meccanismi del linguaggio e del coinvolgimento emotivo, sul rapporto tra l'anima e la realtà e sull'automazione delle emozioni. A pensarci bene, già Crash esprimeva tutto questo, ma a quasi vent'anni di distanza  Cosmopolis non vede più nella macchina una presenza dialettica, un essere metallico con cui fondersi, ma una totalità che ci circonda e che ha preso il sopravvento. La realtà sta solamente al di fuori dei finestrini di una limousine, la percezione è un movimento ondulato, vibrante eppure immobile come i blocchi monocromi, piatti eppure profondissimi, dei quadri di Rothko. E Rothko infatti è citato nel film e soprattutto compare nei titoli di coda dopo che in quelli di testa la tela ocra dello schermo - alla maniera di Spider - si era poco alla volta riempita di color dripping alla Pollock. E nel passaggio dall'espressionismo astratto di quest'ultimo allo spiritualismo cromatico di Rothko è racchiusa l'evoluzione del cinema di Cronenberg, ormai spostatosi dalla fisicità all'immobilità, dal corpo alla parola. E in Cosmopolis c'è la parola di De Lillo (che in italiano è stata tradotta da Silvia Pareschi), che è bianca, pervasiva, silenziosa, unica: Cronenberg ne restituisce la potenza abbagliante con una messinscena raggelata, con un'atmosfera né sospesa né minacciosa, ma semplicemente asettica. Manhattan è oltre il finestrino, la realtà è uno sguardo oltre il vetro, c'è ma il capitalismo (anzi, lo spettro del capitalismo) l'ha trasformata in un sistema di apparenze e di strutture invisibili. Il denaro domina, soffoca, distrugge (anche il cinema, forse), e solo l'asimmetria di una prostata, di un movimento finanziario inatteso, di un ratto di fogna trasformato in unità di misura, può metterlo in discussione, può scardinare un sistema condannato dalla propria perfezione.