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mercoledì 23 maggio 2012

La copia della copia della copia..

Concordo con quanto si legge in giro e con quanto emerso ieri sera al termine della proiezione stampa: Holy Motors di Leo Carax, uno di quei film su cui nessuno in sala avrebbe puntato una lira (nemmeno quelli che adesso dicono che loro Carax l'hanno sempre amato), e' una vera sorpresa. Un film assurdo, per almeno una buona meta' incomprensibile, al limite del ridicolo volontario, e poi a lungo andare capace di trovare una fludita'  straordinaria, di farti ripensare a tutto quello che hai visto, oltre al di la' del film episodico e bozzettistico e pienamente dentro un affresco vibrante e sciroccato del mondo contemporaneo, dell'artificialita' che ci circonda (ma alla fine le uniche a vivere e sospirare sono le limousine), della ripetizione a cui ci condanniamo (ecco la frase del Festival: "quello che fate e' la copia della copia della copia...", detta da una donna a un pubblicitario nel meraviglioso No di Larrain), dell'impasse a cui il cinema e' giunto, come gia' diceva con piu' seriosita' e meno cazzeggio Alps di Lanthimos. Ma anche della sua capacita' di regalare ancora emozioni, di mettere in scena situazioni toccanti nonostante la dichiarata distanza sentimentale da tutto il racconto. Di essere malinconico e tristissimo, e per questo motivo umanissmo nella sua surrealta'. Holy Motors e' una di quelle cose che fanno impazzire soprattutto, o forse solamente, i critici (e magari solo quelli giovani), non so quanto potrebbe essere compreso da chi non spende la sua vita a fare ogni giorno la stessa cosa: sedersi, aspettare che si spenga la luce, guardare e vivere vite altrui con lo sguardo. Credo che Holy Motors sia soprattutto un film su questa coazione a ripetere di esperienze vissute da altre e per altri. Poi magari ci penso meglio.

sabato 19 maggio 2012

Realta' e reality

Ieri non sono riuscito a scrivere, non ne ho avuto il tempo. Oggi invece ce la faccio, e inizialmente avrei voluto parlare dei film di Gondry e di quello di Garrone, il primo visto giovedi' e il secondo presentato in concorso ieri. Poi stamattina, dopo la visione del pessimo Lawless di John Hillcoat (Nick Cave forse dovrebbe piantala con sta mania di fare lo sceneggiatore) ho saputo della sconvolgente notizia dell'attentato di Brindisi. E nell'incredulita' della cosa ho pensato solo piu' al film di Garrone, non tanto alle sue qualita' e ai suoi difetti, ma al presupposto di una realta' immaginaria che prende il sopravvento sulla realta' dei fatti, arrivando a essere l'unica lente con cui interpretiamo, meglio osserviamo, il nostro tempo. Siamo sicuri di tutto questo? Siamo certi che la tv si sostituisca alla verita' della morte e dell'assurdo? Siamo certi che quello che e' successo a Brindisi non sia altro che morte e omicidio e per una volta non c'entrino l'immaginazione, l'immaginario, l'indeterminatezza, l'apparenza. Reality di Garrone va bene, per carita': ribalta la realta', e dunque la interpreta, alla maniera di Pirandello. Ma anche solo per una tragica concomitanza di fatti, di fronte a quello che e' successo in Italia contemporaneamente all'ubriacutura da visibilita' e surrealta', sparisce come neve al sole. Che ne e' insomma di un film dopo Brindisi, dopo la riscoperta scioccante di un mondo tangibile e non visibile, di una follia omicida e non grottesca, di una realtà immutabile che supera la finzione del reality, lasciando al pur volenteroso Garrone lo scacco di una voce flebile e inutile.

sabato 22 gennaio 2011

Cineforum, 499

Siccome è in giro il n. 499 di Cineforum, e siccome non ho tempo per scrivere le solite menate, copioincollo la mia lunga recensione di Post mortem che questo mese apre la rivista. Per chi volesse, però, da leggere su carta è molto meglio. E soprattutto, si recuperi il film, che è una delle cose migliori del 2010, guarda caso assente da tutte le classifiche lette nelle scorse settimane. Buona lettura.

Anche nel suo secondo film Pablo Larraín non ha saputo resistere alla forza che lo trascina verso il centro della sua ispirazione e che rappresenta il centro stesso della storia cilena. Post mortem nasce dalla medesima ossessione che faceva di Tony Manero uno psicodramma tragico e grottesco e che ancorava l’identità del Cile contemporaneo alla realtà ineludibile della dittatura militare. Riprende perciò gli anni ’70, affronta nuovamente il colpo di stato di Pinochet e il conseguente clima di paura e di morte per le strade di Santiago, ma non sceglie una metafora che faccia da schermo e da filtro per l’interpretazione, bensì va dritto al cuore del trauma, agli eventi del settembre 1973 che portarono al rovesciamento del governo socialista regolarmente eletto e all’insediamento di una giunta militare tramite colpo di stato e uccisione del presidente in carica Salvator Allende.

venerdì 29 ottobre 2010

Corpo di stato

Oggi esce Post mortem, il film cileno di Pablo Larraín che è tra le cose più belle viste un mese fa a Venezia. Arriva in sala molto presto rispetto alla presentazione festivaliera (una bella notizia, quindi), ma in un periodo in cui, con la Festa di Roma di mezzo, pochi ne parleranno. Nel piccolo di questo spazio, invece, invito caldamente ad andare a vedere un film straordinario per intensità e potenza: cinema politico, ma non ideologico, che lascia interdetti e scioccati. Chi conosce Tony Manero, il precedente film di Larraín, si accorgerà che Post mortem è il secondo tassello di un unico lavoro di riflessione sul golpe cileno del 1973 e di conseguenza sul trauma collettivo e privato della violenza di Stato. E' un'opera piuttosto definitiva, almeno per chi scrive, sulla politica come presenza costante e inconsapevole della vita quotidiana, su una sorta di antropologia negativa che da naturale si è fatta storica, che ha colpe ben precise ma negate, e che trova nella violenza l'unica risposta al cambiamento, al fallimento, all'incomprensione.