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mercoledì 16 novembre 2011

Ma pensa te...

Ieri ho rivisto per questioni di lavoro Wall Street. Essendo di Stone è una parabola abbastanza scontata, che tra l'altro finisce così, in quattro e quattr'otto, senza dare una spiegazione plausibile sul perché Gordon Gekko dovrebbe finire in prigione e beccarsi vent'anni (visto che poi ne uscirà nel 2007, pronto per la seconda parte del film). Non è nemmeno così yuppie come ricordavo, anche se c'è una scena in cui si decora una casa con scenografie urbane e postmoderne che se fossi in un professore di design farei vedere a inizio corso. Il motivo per cui ne parlo è perché durante uno dei famosi discorsi di Gekko, uno di quei passaggi in cui il cinema americano tradisce la sua morale un po' distorta, quel pericoloso flirtare con la bastardaggine dei vincenti che difficilmente il lieto fine punitivo riesce a scalfire, si sentono alcune cose che a distanza di 25 anni sono ancora attuali. O forse allora erano in anticipo sui tempi, o ancora siamo noi che nel frattempo non siamo cambiati. Comunque, succede quando Bud Fox va da Gekko deluso e tradito e gli chiede:
Dimmi Gordon, quand'è che finisce? Su quanti yacht può stare una persona? Quando è abbastanza? 
Allora Gekko parte in quarta e gli risponde:
Non si tratta di averne abbastanza. È un gioco a somma zero. C'è chi vince e c'è chi perde. I soldi di per sé non si perdono né si guadagnano, si trasferiscono solo da un'illusione all'altra, come per magia. Questo dipinto l'ho comprato dieci anni fa per 60.000 dollari. Oggi potrei venderlo per 600.000. L'illusione è diventata realtà. E quanto più è reale, tanto più gli altri la vogliono. È la quintessenza del capitalismo.

venerdì 22 ottobre 2010

Il ritorno di Wall Street e le panoramiche a manetta

Oggi escono due film che meritano di essere visti. Il primo è Uomini di dio, di cui ho scritto tre giorni fa, e il secondo è Wall Street - Il denaro non dorme mai di Oliver Stone, che sarebbe il seguito del primo Wall Street e che per il fatto di non avere il numero 2 nel titolo, ma di presentarsi con la stessa formula del prototipo, dimostra che il film di allora è diventato un'icona e quindi è riproducibile all'infinito senza bisogno di specificazioni. Sulla dimensione mitologica del primo episodio ho già scritto da Cannes, come del resto pure della bruttezza del secondo, che a distanza di mesi emerge ancora come esempio di cinema vecchio e purtroppo inerme, dove è evidente lo sforzo degli autori per tirar su qualcosa di decente da un'idea cristallizzata e perciò morta. Certo, ci sono alcune battute azzeccate, ci sono i rimandi ironici al tempo che fu, ma soprattutto ci sono infinite panoramiche aeree su Manhattan spalmate su tutto il film, con la musica a palla e i voli tra i palazzi che dovrebbero farci palpitare il cuore di mitologia urbana, manco fossimo ancora ai tempi delle mille luci di New York o di Una donna in carriera.