Oggi escono due film che meritano di essere visti. Il primo è Uomini di dio, di cui ho scritto tre giorni fa, e il secondo è Wall Street - Il denaro non dorme mai di Oliver Stone, che sarebbe il seguito del primo Wall Street e che per il fatto di non avere il numero 2 nel titolo, ma di presentarsi con la stessa formula del prototipo, dimostra che il film di allora è diventato un'icona e quindi è riproducibile all'infinito senza bisogno di specificazioni. Sulla dimensione mitologica del primo episodio ho già scritto da Cannes, come del resto pure della bruttezza del secondo, che a distanza di mesi emerge ancora come esempio di cinema vecchio e purtroppo inerme, dove è evidente lo sforzo degli autori per tirar su qualcosa di decente da un'idea cristallizzata e perciò morta. Certo, ci sono alcune battute azzeccate, ci sono i rimandi ironici al tempo che fu, ma soprattutto ci sono infinite panoramiche aeree su Manhattan spalmate su tutto il film, con la musica a palla e i voli tra i palazzi che dovrebbero farci palpitare il cuore di mitologia urbana, manco fossimo ancora ai tempi delle mille luci di New York o di Una donna in carriera.
Wall Street - Il denaro non dorme mai è un'icona applicata alla società contemporanea: a suo modo è interessante, perché dimostra la persistenza di certi modelli passati; ma a giudicarlo come un film, e non come un prodotto culturale, perde ogni possibile attrattiva. Il problema è che Stone da anni è diventato un'icona pure lui, un nome sopra il titolo ma un autore completamente fuori dal cinema, fermo come intellettuale all'America del dopo-Vietnam e come regista all'iconografia di venticinque anni fa, tra loft con vista grattacieli e soluzioni visive da avanguardia pura, tipo, ad esempio, quella di seguire una bolla di sapone che si libra in cielo per introdurre lo shock della bolla finanziaria. Chapeau per il coraggio, davvero.
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