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giovedì 8 settembre 2011

Faust

E alla fine il capolavoro è arrivato anche Venezia 68. C'era A Dangerous Method, certo, che è un grandissimo film, ma forse è troppo razionale e preciso per sconvolgere con la forza d'urto dello stato di grazia. Con Faust di Sokurov, invece, siamo a uno dei momenti più alti della Mostra, un'esperienza sensoriale, visiva e intellettuale, che poche altre volte mi è capitato di vivere al cinema. Chiudendo la tetralogia sul potere, iniziata con Moloch e proseguita con Taurus e Il sole, Sokurov trasforma il Faust di Goethe in un eroe modernissimo, un attonito e dubbioso uomo di scienza - instancabile, mai sazio, limitato, distaccato, coinvolto, perduto - che si fa tentare dal diavolo e guidare dalla propria ambizione. Attraverso un lavoro straordinario sull'immagine - levigata, pittorica, desaturata, distorta, annebbiata, tra i marroni, i verdi, gli azzurri e i grigi di un passato sfumato - e la parola - infinita, beffarda, esorbitante, illuminante, dispersa - Sokurov costruisce due ore e un quarto di flusso di coscienza in cui gli occhi e la mente sono presi d'assalto e continuamente messi alla prova. Il suo Faust sembra un dipinto fiammingo, pieno di un realismo brulicante che contiene i segni grotteschi della maledizione; a partire dal testo di Goethe - a dimostrazione di quanto ho scritto ieri a proposito di Wuthering Heights e Amis (questo sì che è un adattameno moderno) - inventa una deriva dell'eroe che riflette l'angoscia esistenziale di fronte alla finitezza della conoscenza e la debolezza di fronte alla seduzione del male.

mercoledì 7 settembre 2011

Wuthering Heights

Qui a Venezia la versione di Wuthering Heights firmata dall'inglese Andrea Arnold ha parecchi estimatori. E a ragione, credo. Perché è un film pressoché perfetto, preciso e selvaggio, sporco di fango e di lordura rabbiosa, e per questo oltre qualsiasi lettura sentimentalista del romanzo; forse un po' facile nella scelta di fare di Heathcliff un ragazzo di colore, ma efficace nel scegliere di scarnificare la struttura del testo e renderlo graffiante e sghembo come i due nomi degli amanti della brughiera, Heathcliff per l'appunto e Cathy, intagliati sul muro. Eppure Wuthering Heights è un film sbagliato. Interessante, ma sbagliato. Un film fermo a una pratica estetica che invece di superare un testo vecchio di due secoli e alla base della cultura sentimentale europea, si adagia su di esso, lo rappresenta in termini realistici, mostrando quanto di sporco ci fosse nella calma brulicante della Brontë, ma lo interpreta come materia morta. Quello che la Arnold porta sullo schermo non è niente di più del romanzo, la sua essenza e matericità: niente di male come operazione, per carità. Ma non se svolta sul corpo di un romanzo tra i più conosciuti, amati e digeriti della nostra letteratura.