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sabato 15 ottobre 2011

Provincia dell'impero

Nella città dove sono nato e dove ho vissuto per un mucchio di tempo c'è un festival letterario che da un paio d'anni sta raccogliendo consensi e partecipazioni incredibili, un'iniziativa spontanea di un gruppo di cittadini diventata in poco tempo un punto di riferimento imprescindibile per chiunque nella zona sia interessato alla cultura e alla sua diffusione. Ci ho pensato, a questo festival e alla sua straordinaria capacità di invitare vip e artisti famosi, quando ho visto la campagna pubblicitaria montata attorno a This Must the Place di Sorrentino: una gigantesca opera di beatificazione del regista attraverso la sua opera e soprattutto attraverso le sue emanazioni, i suoi pezzi da giornalista, il suo romanzo di un paio d'anni fa, le sue interviste d'autore. L'ennesimo caso, insomma, di celebrazione dell'artista vip a cui vengono affidate le chiave del potere, riconoscendogli di aver salvato il cinema italiano, di aver superato chi il romanziere lo fa di professione, di aver riportato resoconti appassionanti dei suoi viaggi. Un'esaltazione che secondo me tradisce il disperato bisogno di celebrità e maestri che coviamo in quanto spettatori e utenti della cultura di massa, e che il festival della mia città sfrutta in modo illuminato. Ci aveva già pensato Moretti con Habemus Papam a stigmatizzare la deriva pop che trasforma ogni figura di potere in icona, mentre ora è arrivato Paolo Sorrentino a ribadire il concetto, per quanto in modo molto più compromesso e inconsapevole.

sabato 16 aprile 2011

Lezione morale

Delle tante cose straordinarie dell'ultimo, straordinario film di Moretti, la cosa che più mi ha colpito e divertito (insieme a un paio d'altre, a dire il vero) è ciò che si legge sui giornali quando il povero Papa di Michel Piccoli passa davanti a un'edicola del centro di Roma. Tra le testate di tutto il mondo, si notano soprattutto La Repubblica e il Corriere. La prima titola con il solito misto di giornalismo apocalittico e visionarietà messianica "La grande attesa" (e mi chiedo se c'è modo migliore per rendere lo stile di Mauro e soci), mentre il secondo, ed è qui il genio, ha bello grosso in vista: "E' già il Papa di tutti" (il Papa che si è sottratto al suo dovere, il Papa che dovrebbe pregare per il peso gravoso sulle spalle e invece è scappato confuso e impaurito): nessuno sa nulla, nel mondo reale, ma per il giornale delle borghesia quieta, per il popolo di fedeli e adulatori, il Papa sconosciuto è già uno di loro, un uomo grande e infallibile. Uno di noi, insomma. Meraviglioso, non viene altro da scrivere: come Bellocchio anche Moretti riesce a riassumere l'Italia in un solo colpo. Che non è un semplice titolo di giornale inventato, ma la summa di un pensiero e una tendenza collettive: il desiderio stupido di empatia con il potere, la voglia supina di sentirlo come nostro, non per appropriarcene ma per adorarlo. Habemus Papam, tra le tante cose, è anche un film sull'innamoramento collettivo della celebrità, il desiderio di massa di riconoscersi nel migliore, di inchinarsi al passaggio del re, di vestirlo di vesti sempre più ricche e rifiutarsi di vederlo nudo.