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venerdì 1 marzo 2013
Spettatori e lettori, cioè vittime e carnefici
mercoledì 30 gennaio 2013
Anche troppo
E' uscito Lincoln, ne hanno scritto in parecchi, in America si stracciano le vesti da mesi, tra un po' c'è l'Oscar e qualcosa a casa se lo porta di sicuro, magari non il miglior film, ma la regia e Day Lewis è molto probabile di sì. Non c'è che dire: come operazione commerciale e artistica Lincoln è perfetto, è esattamente il film adatto per i nostri tempi, che rilegge la politica del passato proiettandola sul presente, che testimonia una delle ansie della cultura contemporanea, quella cioè di confrontarsi con il potere e sfidarne la forza di persuasione (Zero Dark Thirty, certamente, ma anche le riflessioni di McEwan in Miele), che regala l'ennesima parte della vita all'unico attore misterioso e misterico rimasto sulla piazza, quello che se c'è lui allora il film è già di per sé un tour de force e una cosa da non credere. Soprattutto, Lincoln è diretto da uno dei pochissimi autori che oggi può permettersi di fare il serio (anzi, quasi il barbogio, vista la verbosità dell'operazione), il simbolico, il retorico, l'eccessivo - e per di più stavolta senza un briciolo di ironia, che sarebbe stata fuori luogo - senza per questo venir accusato di seriosità, simbolismo, retorica, mancanza di ironia, visto che viviamo il tempo della continua riscoperta e rivalutazione, anche quando le cose sono state riscoperte e rivalutate anni fa, e dunque ancora oggi c'è gente che crede ci sia qualcuno, chissà dove e chissà come, convinto che Spielberg sia solamente quello dei giochini, e quindi uno da difendere coi denti e con le unghie, uno la cui importanza è sempre da ribadire e rivendicare, uno che a ogni film è una continua sorpresa, visto che ora parla di Guerra civile e di schiavitù, di Obama e di retorica dell'unione, mentre prima faceva solo cazzare alla Hook, e non si fosse mai soffermato a contemplare le rose del capitano Miller.
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