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venerdì 14 ottobre 2011

Soluzione alla moratoria

Qualche settimana fa David Daley del sito Salon, ripreso anche da Luca Sofri sul suo blog, ha scritto un pezzo sulla versione di Jeff Buckley della Hallelujah di Leonard Cohen, sostenendo giustamente quanto ormai sia inflazionata e ridotta a feticcio culturale, quando non, scrive poi Sofri, a svenevolezza da boy band o da raduno di preghiera. Il pezzo, che chiama in causa addirittura l'uso criminale della canzone, si concludeva con la richiesta di una moratoria nei confronti della canzone: decidiamo che è bellissima, ammettiamo che la versione di Buckley è di gran lunga migliore di quella originale e poi accontoniamola per sempre. Perfetto, sacrosanto, una storia archiviata. Ma forse abbiamo già trovato il sostituto, un pezzo nuovo che potrebbe salvare gli orfani della commozione musicale. La canzone la canta My Brightest Diamond, si chiama In the Beginning ed è contenuta nel suo ultimo album All Things Will Unwind (ne ho scritto qui qualche giorno fa, e dopo averlo ascoltato diverse volte penso sia straordinario). Subito comincia come una ballata secca e penetrante, con la voce angelica della Warden come sempre straniante; poi a un certo punto c'è una cesura, un secondo di silenzio e la voce parte con un lamento minimale e dolce dolce. This glorious state, the earth is shaking... hallelujah. Hallelujah... hallelujah... halleluuuuuuuujah... Il tono è soave, il rimando troppo diretto per essere casuale e la voglia di far fuori un mito parecchio ingombrante pure: e allora la bella e tosta Shara scherza con il fuoco e alla fine non si fa male. Alla fine tira fuori un pezzo schizofrenico e potente, ugualmente intenso rispetto a quello di Buckely, ma tipicamente indie, raffinato e un po' estetizzante, qualcosa di più moderno e straziante che sarà più difficile da assimilare e proprio per questo immune da svilimenti pop e languori da matrimonio. Buoni svilimenti.

mercoledì 20 ottobre 2010

I remember you were the Chelsea Hotel

Oggi Repubblica ha pubblicato un articolo di Angelo Aquero in cui si annuncia la vendita del Chelsea Hotel di New York e in cui, essendo il quotidiano di Zucconi, l'autore si dedica soprattutto alla celebrazione del luogo e a tutto ciò che di mitico ed evocativo rappresenta, tra I remember you well in Chelsea Hotel di Leonard Cohen citato almeno tre volte, Nico e Marc Twain, Syd e Nancy e Thomas Wolfe, e i due Dylan, prima il poeta e poi il cantante che al poeta ha rubato il nome. La cosa mi ha colpito, perché due anni fa sono stato al Chelsea Hotel e lì ho pure scattato delle foto, tipo quella che si vede qui a fianco. Ci sono andato, naturalmente, perché ero cresciuto come tanti con quel nome nelle orecchie, con quel sogno solo americano di rendere glorioso un albergo, e una volta giunto lì, al 222 della 23a West, ho visto delle targhe celebrative, una hall polverosa piena di gente vestita male, un arredo raffazzonato che faceva pensare all'ingresso di un rifugio di montagna e in generale un clima da post-impero che non aveva nulla di particolare, se non il ricordo del ricordo; se non il racconto che di quel posto altri ne avevano fatto.