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lunedì 8 aprile 2013

Film TV n. 1054

Dalla scorsa settimana, a partire dal numero 1054, il primo sotto la nuova direzione di Mauro Gervasini, ho cominciato a collaborare per Film TV. Per chi non avesse preso la rivista in edicola o su tablet, qui si può leggere quello che ho scritto su Hitchcock, il film di Sacha Gervasi che racconta i giorni delle riprese di Psycho, tra il 1959 e il 1960. Il film era dato in uscita in tutta Italia giovedì scorso, ma per qualche strana ragione alla fine è arrivato solo nelle grandi città, o addirittura solo a Roma e Milano. In ogni caso, buona lettura, se vi va come sempre, qui e pure da altre parti (ad esempio, qui si trova il pezzo che tempo fa ho scritto per «Cineforum» su Cloud Atlas, che in pagina viene dopo il notevole intervento di Pier Maria Bocchi).

mercoledì 30 marzo 2011

Senza buchi né macchie

Nei giorni in cui più o meno ogni scuola d'Italia si sbatte per proiettare film sul Risorgimento, optando inevitabilmente per Noi credevamo, che è bellissimo ma poco adatto agli studenti, o finendo per scegliere Senso, ché tanto di altre robe famose su quel periodo non ne esistono, se ne è andato anche Farley Granger, che di quel film era il protagonista e che Luchino Visconti considerava una seconda scelta rispetto all'agognato, e non ottenuto, Marlon Brando, insieme con l'altrettanta agognata, e l'altrettanto non ottenuta, Ingrid Bergman. Farley Granger era invece un attore caro a Hitchcock, che gli ha dato in due casi parti di personaggi ambigui e paurosi, un omesessuale assassino in Nodo alla gola e un tennista assassino per procura in L'altro uomo, forse per via di quella faccia decadente e melliflua, elegante e lamentosa, perfetta anche per il mélo (L'altalena di velluto rosso). Come per Liz Taylor pochi giorni fa, anche in questo caso mi chiedo quanto la sua bravura d'interprete incidesse sull'efficacia delle sue interpretazioni, quanto soprattutto più del talento dei singoli attori nel cinema classico contasse il potere immaginifico di un intero sistema produttivo e narrativo. Quel cinema era una gabbia perfetta dove tutto stava insieme e niente sfuggiva ("senza buchi né macchie", ha scritto Truffaut), e Hitchcock che lo sapeva più di ogni altro nei suoi film ci metteva sempre strutture geometriche, linee diritte o perfettamente circolari. Sapeva, lui, che fuori da quel mondo i suoi attori non avrebbero retto. E se sulla Bergman, alla quale sconsigliò di fuggire da Rossellini, si sbagliava, su Farley Granger, vista la reazione di Visconti, aveva visto giusto.

giovedì 29 aprile 2010

Gratuità e gravità

Trent'anni fa moriva Hitchcock (chissà perché finisce sempre che parlo di morti). Su di lui si è detto e scritto praticamente di tutto, come credo per nessun altro regista. La vera questione quindi è chiedersi perché: perché Hitchcock è diventato Hitchcock e perché il solo nominarlo fa venire in mente cose precise e dirette. Ci ho pensato tanto, ne ho scritto qui e alla fine sono arrivato alla conclusione che è una questione di divertimento. Nostro e soprattutto di Hitchcock, che con il cinema faceva esattamente quel che voleva. Perché in fondo la sua caratteristica più moderna (e i Coen lo sanno meglio di tutti) è il puro e semplice cazzeggio, l'equilibrio, come ha detto Raymond Bellour, "tra la gratuità del gioco e la gravità della posta in gioco". Vale a dire: uno che faceva cose serissime, scherzando.