Oggi su Repubblica è apparso un articolo di Carlo Moretti in cui si legge che l'Heineken Jammin Festival è stato un flop. 50 mila spettatori contro i 100 degli anni passati, a dispetto di una copertura pubblicitaria corposa e, come ho scritto qualche giorno fa, di un programma in bilico tra pattume pop nostrano (esclusi i Verdena) e inedite aperture indie. Evidentemente non ha funzionato. E le cause sono parecchie, credo la più importante delle quali il fatto che non si possa puntare per anni su un pubblico di pantofolai del rock e poi all'improvviso sperare che i birromani con polsini e fascia in testa accorrano per i Coldplay o, figuriamoci, per gli Interpol e gli Elbow. I problemi sono di carattere logistico e burocratico, ma pure, come dicono alcuni agenti musicali intervistati nell'articolari, di educazione del pubblico italiano, che sarebbe troppo fighetto per accettare le sfacchinate, il rischio pioggia, le notti insonni, la stanchezza da adrenalina...: vale a dire tutto ciò che rende indimenticabile l'esperienza di un festival. A mio onesto parere, però, il problema sta nella promozione della musica veramente contemporanea, quella che in questi anni è stata promossa da riviste e giornalisti seri (mica Rolling Stone, che si è accorta degli Arcade Fire solo ora), quell'indie pop che a Londra, New York, Los Angeles, Berlino, Barcellona, Stoccolma, Sydney è offerto quotidianamente da club, palazzetti ed arene e che qui da noi è conosciuti solo dagli appassionati e visto dal vivo solo dai fortunati che abitano vicino a Milano, Roma e talvolta Torino. Basta buttare un occhio al tour di uno qualsiasi tra i gruppi indie oggi sulla breccia (fatelo coi Bon Iver, tanto per restare a post recenti) per accorgersi che le tappe italiane o non ci sono o sono ridotte all'osso, laddove non dico quelle inglesi - che vabbe', lì il rock l'hanno inventato per cui figuriamoci - ma pure quelle tedesche, austriache e spagnole sono parecchie.
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sabato 11 giugno 2011
domenica 5 giugno 2011
Il paese reale
Rapido rapido di domenica pomeriggio, ché tanto nessuno legge, per constatare con un po' di stupore che l'Heineken Jammin Festival di Venezia di quest'anno sarà meno penoso delle passate edizioni. Con quella che sembra un'insperata apertura all'indie rock (ma dai, si sono accorti che i Metallica non hanno più un cazzo da dire e che i Green Day suonano da sempre la stessa nota!), tra giovedì e sabato, ci saranno gli Iterpol, Echo & The Bunnymen, i Verdena e soprattutto gli Elbow, in quella che purtroppo è la loro prima e unica data italiana. A parte per il piacere di vederli dal vivo, sarebbe divertente andare a Venezia per vedere come il pubblico di uno dei festival solitamente più mediocri e sbracati d'Europa consideri uno dei gruppi più raffinati e pop del momento, con da una parte il popolo di Vasco (che naturalmente c'è, stiamo tranquilli), solitamente composto da impiegati di banca, le loro mogli, gli appassionati di motomondiale e le guardie giurate nel giorno libero, e dall'altra cinque anonimi adulti inglesi, vestiti in giacca e cravatta senza la minima idea di trovarsi di fronte a una fetta piuttosto consistente di paese reale. Buona fortuna, ragazzi.
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