lunedì 15 novembre 2010

Il nuovo coso di Safran Foer

L'altro giorno ho letto sul Post di un nuova iniziativa editoriale di Jonathan Safran Foer, il golden boy della letteratura americana che quasi dieci anni fa se ne uscì con un capolavoro poi fin troppo celebrato come Ogni cosa è illuminata e poi si confermò, segandosi però un po' le gambe, con il fighettino ma bello Molto forte, incredibilmente vicino. La caratteristica principale della sua scrittura, oltre al fatto di essere grandiosa, ispirata, intimamente, americanissimamente, ebrea, cioè intellettuale, tormentata, ironica, disperata, mai sazia di se stessa, è quella di instaurare un legame inaspettato con la sua stessa componente visuale. Le opere di Safran Foer non sono semplici libri, ma quasi ipertesti dove la parola scritta si accosta alla grafica e alla fotografia e dove queste ultime arrivano a interagire con il mondo immateriale della parola. Era così in Molto forte, incredibilmente vicino e pure  nel pamphlet sul vegetarianesimo Niente importa uscito quest'anno e ora torna a esserlo con l'edizione curata dallo scrittore di quello che dichiara essere il suo libro preferito, il racconto La via dei coccodrilli di Bruno Schulz, autore ebreo polacco ucciso durante la seconda guerra mondiale.

Sbrindellando l'amato libro parola per parola, frase per frase, Safran Foer ha costruito un'opera interattiva che sembra un art book per bambini, un volume a più livelli in cui si lascia intravedere il testo delle pagine successive e ritagliando parole o intere frasi dà la possibilità di creare una storia nuova e personalizzata.

Detto così non si capisce molto, ma basta vedere qualche foto per farsene un'idea più precisa. Si scorge così una cosa bella, carina, molto artistica, ma pure un oggetto che si lascia alle spalle la sua dimensione letteraria e diventa simile a un qualsiasi nuovo prodotto tecnologico, specie se della Apple: un oggetto esteticamente piacevole, ma senza scopo ulteriore oltre la sua novità e bellezza.

E così, ammesso che alla fine si tratta di un lavoro estemporaneo, il "coso" di Safran Foer, più che rinnovare l'oggetto-libro di fronte alle incertezze del mercato editoriale, come ha detto lo scrittore in un'intervista,  sembra ripetere i soliti schemi del mercato puro e duro, cercando nello stupore e nel fumo negli occhi la novità che dovrebbe nascere dalle radici stesse dell'oggetto.

Se il bello di leggere è farsi portare dalla bravura dello scrittore e dalla forza delle parole, dove sta per il lettore il piacere di costruirsi da sé la propria storia? Chi l'ha detto che l'interattività è per forza di cose sempre gradita? Ci sarà ancora qualcuno,  o no, che non si considera un potenziale creatore e si accontenta di godere della bellezza creata dagli altri?

4 commenti:

  1. Più che altro spero serva a fare conoscere a un mondo sempre più americanocentrico l'opera geniale di Bruno Schulz. In attesa dei prodigi di Foer consiglio la tradizionale lettura de Le Botteghe color cannella curate da Francesco M. Cataluccio per Einaudi.
    Giulia

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  2. Grazie, ci penserò davvero. Infatti, io che in letteratura sono vergognosamente americanocentrico, non avevo idea di chi fosse Bruno Sculz e adesso mi è venuta la curiosità. Cercherò di sanare la falla al più presto.

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  3. L'anno scorso la comunità polacca ha organizzato qui a Torino una bellissima mostra di Schulz alla Casa del Teatro Ragazzi. Figurati che Lucia faceva da guida...tanto per rendere omaggio al grottesco!
    Ah, il commento di Giulia mi offre il destro per sottolineare che il libro-diario di cui ti parlavo entusiasticamente ieri sera, "Vado a vedere se di là è meglio", è scritto dal sopracitato Francesco Cataluccio. Direi che il destino congiura affinchè tu lo legga.

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  4. Direi proprio di sì! La Panpolacchia è tra di noi.

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