I Coen sono novecenteschi. Il loro mondo è ancora popolato da uomini senza qualità, da uomini che non ci sono, da fratelli smarriti inadatti alla vita, insofferenti, isterici o rassegnati. Il cantante folk di inizio anni '60 Llewin Davis è uno di loro, un musicista di talento ma non abbastanza da emergere, una testa di cazzo epocale che perde ogni occasione nella vita, che manca le uscite dell'autostrada, che viaggia per ore da New York a Chicago per ritrovarsi con un pugno di mosche, imprigionato in una circolarità narrativa che lo tiene lì dov'è, a piedi sotto la pioggia, con i piedi fradici, in macchina nella neve, e non gli lascia scampo. L'altro, l'altrove, l'obiettivo che sfugge dalle mani, non è, come in A Serious Man, inafferrabile, di spalle, intravisto solo nel finale ritagliato sullo sfondo di un tornado, ma è afferratto al volo, portato in giro, perso, ritrovato, scambiato, investito, forse ucciso, poi ancora ritrovato. Si tratta di un gatto, che i Coen inquadrano spesso di spalle, che seguono nel primo movimento di macchina del film, e che il loro povero protagonista ritrova di continuo sulla propria strada: si chiama Ulisse, il gatto, e lui una casa alla fine la trova, per lui il cerchio si chiude nell'unico posto dove stare; mentre per Llewin Davis, no, a lui storpiano il nome di continuo, lui lo fanno suonare e non gli vendono i diritti d'autore, lui ha uno scatolone pieno del suo disco invenduto, e un posto dove andare non ce l'ha, ne' una casa, ne' un palco, perché suona sempre nello stesso posto e solo all'inizio e alla fine, ogni volta preso a botte da un tizio misterioso e scuro che non vorrebbe mai vedelo in scena. Nel frattempo e' arrivato Dylan, che canta le stesse canzoni di Llewyn ma quelli come lui li cancellera' dalla storia, della musica e forse della vita. Llewin si arrende, torna a fare il marinaio, o forse no perche' non ha soldi nemmeno per quello...