domenica 19 maggio 2013

Povero Llewin Davis

I Coen sono novecenteschi. Il loro mondo è ancora popolato da uomini senza qualità, da uomini che non ci sono, da fratelli smarriti inadatti alla vita, insofferenti, isterici o rassegnati. Il cantante folk di inizio anni '60 Llewin Davis è uno di loro, un musicista di talento ma non abbastanza da emergere, una testa di cazzo epocale che perde ogni occasione nella vita, che manca le uscite dell'autostrada, che viaggia per ore da New York a Chicago per ritrovarsi con un pugno di mosche, imprigionato in una circolarità narrativa che lo tiene lì dov'è, a piedi sotto la pioggia, con i piedi fradici, in macchina nella neve, e non gli lascia scampo. L'altro, l'altrove, l'obiettivo che sfugge dalle mani, non è, come in A Serious Man, inafferrabile, di spalle, intravisto solo nel finale ritagliato sullo sfondo di un tornado, ma è afferratto al volo, portato in giro, perso, ritrovato, scambiato, investito, forse ucciso, poi ancora ritrovato. Si tratta di un gatto, che i Coen inquadrano spesso di spalle, che seguono nel primo movimento di macchina del film, e che il loro povero protagonista ritrova di continuo sulla propria strada: si chiama Ulisse, il gatto, e lui una casa alla fine la trova, per lui il cerchio si chiude nell'unico posto dove stare; mentre per Llewin Davis, no, a lui storpiano il nome di continuo, lui lo fanno suonare e non gli vendono i diritti d'autore, lui ha uno scatolone pieno del suo disco invenduto, e un posto dove andare non ce l'ha, ne' una casa, ne' un palco, perché suona sempre nello stesso posto e solo all'inizio e alla fine, ogni volta preso a botte da un tizio misterioso e scuro che non vorrebbe mai vedelo in scena. Nel frattempo e' arrivato Dylan, che canta le stesse canzoni di Llewyn ma quelli come lui li cancellera' dalla storia, della musica e forse della vita. Llewin si arrende, torna a fare il marinaio, o forse no perche' non ha soldi nemmeno per quello...

Tutto quello che i Coen dicono in questo film, lo hanno gia' detto altre volte, sono invecchiati e dobbiamo smetterla di crederli all'avanguardia. Concettualmente, Inside Llewin Davis non ha niente di nuovo, la parabola esistenziale novecentesca, con il suo eroe che potrebbe venire dalle pagine di Bellow, se solo fosse un po' piu' ricco e un po' piu' stupido, l'abbiamo gia' visto e abbiamo imparato ad amarlo altre volte. Llewin e' la vittima di uno spazio e di un tempo impietosi, di una realta' che lo umilia e non gli lascia scampo. Al massimo, questa volta i Coen sono piu' rassegnati, sanno che il tornado e' gia' passato e non ha risolto nulla. Stavolta non si muore di tumore, non si viene spazzati via, ma si sta coi piedi per terra a camminare in tondo. Altro che avventura di cani e gatti nelle grandi pianure del Canada. Altro che Walt Disney.

Quello che c'e' di nuovo, pero', e' una dolcezza di fondo, un'aria malinconica e trasognata, un abbandono al piacere della musica, dei pizzichi di chitarra, dei sogni che una musica puo' generare, che fa di Inside Llewin Davis un film commovente, o semplicemente bellissimo perche' avvolge e culla. Non e' un film nostalgico, ma un film pieno di nostalgia, con i dettagli e le inquadrature simmetriche tipiche dei Coen pronte, non a costruire un teorema, ma una canzone gentile per uno povero pirla sconfitto dalla Storia e lasciato sulla scena con le sue decine di copie invendute. Povero Llewin Davis.

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