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giovedì 10 maggio 2012

Wallace, Kerouac, Fitzgerald


Per chi avesse voglia di leggere, questo qui sotto è l'incipit di Il re pallido, il romanzo incompiuto di Foster Wallace uscito lo scorso autunno da Einaudi (trad. Giovanna Granato). E quello ancora più sotto è il finale, celeberrimo, di Sulla strada di Kerouac (Mondadori, trad. Magda de Cristofaro). E quello più sotto ancora è l'ancora è l'ancora più famoso finale del Grande Gatsby (Einaudi, trad. Fernanda Pivano). Ci ho pensato ieri sera mentre cominciavo il libro di Wallace e sono rimasto folgorato dalla profondità del legame, forse involontario, forse no, non saprei, con gli altri due romanzi, nel nome spesso ripudiato, poi riscoperto, poi distrutto e ricostruito ogni volta da capo, di quei meravigliosi campi oscuri della Repubblica che ancora oggi ci sforziamo di illuminare in qualche modo. Vero, quando si parla di America, da volerlo o meno, siamo tutti fratelli.

David Foster Wallace, Il re pallido 
Di là dalle pianure di flanella, i grafici d'asfalto e gli orizzonti di ruggine sbilenca, e di là dal fiume tabacco sormontato da alberi piangenti e monetine di sole che filtrano sull'acqua alla foce, nel punto oltre il frangivento, dove i campi incolti rosolano striduli al caldo antimeridiano: sorgo, farinello, leersia, salsapariglia, cipero, stramonio, menta selvatica, soffione, setaria, uva muscadina, verza, verga aurea, edera terrestre, acero da fiore, solano, ambrosia, avena folle, veccia, gramigna, fagiolini spontanei invaginati, tutte teste che annuiscono dolcemente a una brezza mattutina che è la morbida mano di una madre sulla guancia. Uno strale di storni scoccato dalle stoppie del frangivento. Il lucore di rugiada che resta lì a svaporare tutto il giorno. Un girasole, altri quattro, uno chino, e lontani cavalli rigidi e immoti come giocattoli. Annuiscono tutti. Suoni elettrici di insetti indaffarati. Sole biondo birra, cielo pallido e volute di cirri così alte da non fare ombra. Insetti indefessamente indaffarati. Quarzo, selce, scisto e croste di condrite ferrosa nel granito. Terra antichissima. Guardatevi intorno. L'orizzonte tremola, informe. Siamo tutti fratelli.
Ma ecco i corvi solcare il cielo, tre o quattro, non a stormo, in volo, silenziosi e malintenzionati, si dirigono verso il grano puntando al filo spinato del pascolo oltre il quale un cavallo annusa il sedere a un altro, che si premura di alzare la coda. La marca delle tue scarpe impressa nella rugiada. Un refolo di erba medica. Le lappole sui calzettoni. Secca frizione in un canale sotterraneo. Filo spinato rugginoso e pali sghembi, più simbolo di reclusione che recinto vero e proprio. «Divieto di caccia». Il fruscio dell'interstatale di là dal frangivento. Le mucche sparse al pascolo rivoltano tortini di terriccio per raggiungere i vermi, le sagome dei vermi impresse nel letame capovolto che induriscono cuocendo tutto il giorno al sole e non vanno più via, minuti solchi evacuati a schiera e spire inserte che non si richiudono perché la testa non tocca mai la coda. Leggete questo.

lunedì 7 novembre 2011

Il re pallido (con la bandana)

Mentre oggi uscivano le ennesime ultime canzoni dei REM, facendo sempre più somigliare la fine di questo gruppo a quella del governo Berlusconi, annunciata secoli fa e ogni mattina provvista di un definitivo atto finale, qualcosa di più bello e sorprendente ha deciso di tornare dopo che anni fa aveva purtroppo deciso di andarsene per sempre. Sto parlando di David Foster Wallace, che come tutti sanno nel 2008 si suicidò per via di una depressione devastante, e che oggi torna in libreria con il suo ultimo romanzo Il re pallido, che Einaudi ha tradotto dopo l'uscita americana della scorsa primavera e che naturalmente è un'opera postuma, in odore di operazione commerciale, è ovvio, ma forse meno del solito, ché forse si tratta per davvero delle sole parti che lo scrittore aveva consegnato all'editore al momento della morte. Per celebrare l'evento e per riflettere su quello che probabilmente è il più grande scrittore americano dagli anni '80 in poi, Doppiozero oggi gli ha dedicato un bellissimo speciale, ricordando che certi ritorni, benché solo letterari, possono essere qualcosa più interessante di un presidente del consiglio che non si leva dalle palle o di una band che continua a tirar fuori canzoni dal cassetto mentre passa la ramazza prima di chiudere l'ufficio. Qui si trovano tutti i pezzi dello speciale (tra cui uno bellissimo di Bartezzaghi): sono tanti, sono lunghi e talvolta sono complessi. Ma sono appassionati e appassionati, ché la scrittura di Wallace per comprenderla devi amarla, altrimenti ti fermi alla prima pagina. E se per caso vuoi leggerla in lingua originale devi conoscerla perfettamente, ché io ci ho provato a farlo con The Pale King, ma con le mie conoscenze mi sono fermato solo un po' più in là della prima pagina. Ora aspetto il momento giusto e riprendo a legger, questa volta in italiano. Nel frattempo vado avanti a leggere lo speciale di Doppiozero.