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mercoledì 21 dicembre 2011

Voyeur con le ali

L'altro giorno, commentando questa intervista a Philip Roth, ho citato di sfuggita Nathan Englander. Ho così ripensato alla sua prima raccolta di racconti, Per alleviare insopportabili impulsi, suo tempo diventata per me una specie di manualetto di sopravvivenza (anche e soprattutto per i suoi passaggi più comici), e poi mi è venuto in mente un passaggio del suo per ora unico romanzo, Il ministero dei casi speciali. Ci ho pensato dopo aver letto questa cosa di Christopher Hitchens a proposito della morte e dell'aldilà, mi ricordavo che sintetizzava in una paginetta il rapporto sofferente e sotto sotto ridicolo tra l'uomo e l'idea della religione in gran parte della letteratura americana (ebraica, certo). Ho preso il libro in mano e per due giorni l'ho sfogliato, senza trovare il passaggio. Oggi finalmente l'ho trovato. E anche se c'entra poco con questo blog, lo metto qui. (La traduzione è di Silvia Pareschi, della quale segnalo il bel blog Nine Hours of Separation).
Queste sono le cose per cui Kaddish non pregò: non pregò per ottenere un permesso o un consiglio, per ricevere aiuto o perdono, non chiese un segno o una parola di conforto, non supplicò a nome di qualcun altro. E anche se si rivolse a un Dio ultraterreno, non desiderò di incontrarlo in paradiso. Perché anche nelle deboli fantasia umane si prova vergogna, ci si sente continuamente osservati da schiere di occhi, come se fosse impossibile avere un po' di intimità; come se entrando in paradiso non si ottenesse una maggiore saggezza, una visione d'insieme, una più ampia comprensione; come se ogni movimento di ogni creatura terrestre venisse eternamente osservato da ogni madre morta e da ogni figlio morto.