domenica 22 agosto 2010

Elogio doveroso

Giovedì scorso, sul sito della sua casa discografica, la Ashmatic Kitty Records, Sufjan Stevens se ne era uscito con le date del nuovo tour americano e con un servizio fotografico da prima comunione (qui a fianco). Il giorno dopo è arrivato All Delighted People, che non so perché non venga definito un album, ma un EP, visto che dura un'ora. In ogni caso, si può veramente dire che, dopo anni di disquisizioni sul prossimo Stato del progetto sull'America (naufragato, a quanto pare), di domande fondamentali (è gay o no? interessantissime...), dopo trascurabili progetti minori, cover insolite, crisi creative, coretti e doppie voci in canzoni di altri, si può dire, dicevo, che uno degli artisti più colti, sperimentali, geniali, creativi della rock contemporaneo è tornato. E pure alla grande, visto che questo EP è tutto tranne che un lavoro facile o scontato.


All Delighted People è complesso e, per quanto un'opera di passaggio, ambizioso e per certi versi mastodontico (la title track è doppia e nel complesso dura quasi 20 minuti). Sufjan Stevens è il punto d'arrivo di una grande tradizione della musica americana che va da Burt Bacharach e passa per Dylan, Cohen, Neil Young e, venendo a tempi più recenti, arriva a Stephin Merritt saltando a pie' pari gli anni '90 (ma ora ricorda un po' Jeff Buckley): un'invenzione del tutto personale che prende dalla musica coreografata dei musical, dei gospel e del cinema, dal folk militante e dal rock anni '70. Solo lui riesce a fondere queste tradizioni tutte americane e a ricavarne una musica massimalista e al tempo stesso intima, fragile, malinconia.

Con la lunga pausa di questi anni e con quella che a quanto pare è stata una crisi dovuta all'eccesso di idee sfornate per Illinoise, ha saputo attendere abbastanza per far evolvere la sua musica e liberarla da quella fragilità indie che a tratti la indeboliva e che, soprattutto, ha dato vita a una serie di epigoni e imitatori da orticaria.

La musica di Sufjan Stevens era certamente più facile da ascoltare una volta (e forse nell'unione di complessità e linearità ha raggiunto vertici inarrivabili), mentre ora è sempre più colta e ricercata. Mai facile, a volte un po' lagnosetta, ma sempre ispirata e sofferta. Più che un cantante rock sta diventando un compositore e uno sperimentatore: per cui mi aspetto di tutto da quello che dovrebbe essere, finalmente, il suo prossimo vero album.

Se è vero, insomma, che talvolta quella roba vaga e indefinita che è l'indie è privo idee, qui è il contrario: Sufjan Stevens è su un altro pianeta. Sufjan è il Christopher Nolan della musica americana. O Nolan il Sufjan di Hollywood.

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