Alla fine ha vinto lo zio Boonmee, il migliore, e nemmeno gli altri premiati hanno demeritato. A parte Schastye Moe, la giuria ha riconosciuto il meglio del Concorso. E questo significa che era una buona giuria. Chiaramente in Italia a nessuno frega una mazza, perché le parole di Germano al momento del ritiro della palma per il Miglior attore hanno finito per mangiarsi ogni cosa. E la sua dedica agli italiani “che fanno di tutto per rendere l’Italia un paese migliore nonostante la loro classe dirigente” è il caso del giorno.
Tanto per intenderci, a Cannes tre giorni fa l’estrema destra ha minacciato attentati durante la proiezione di Hors la loi, che parla del massacro di Sétif del 1945, dove morirono 45000 algerini per mano francese, e prima ancora un deputato del partito di Sarkozy aveva chiesto la cancellazione del film. Ebbene, il direttore Thierry Fremaux di fronte a queste richieste e minacce ha risposto picche e il giorno dopo su Libération si parlava del film soprattutto perché è una menata per nulla all'altezza delle sue ambizioni e non perché è l’occasione per una polemica fra l’Ump e i socialisti.
È il primato della cultura e dell’arte sulla realtà contingente che in Italia non siamo ancora riusciti a imparare. Perché se solo ci fermassimo a riflettere, il premio a Germano verrebbe ridimensionato dalla qualità mediocre, anzi pessima, del film di Luchetti e tutte quelle parole sull’Italia di oggi e sulla verità del quadro sociologico sarebbero surclassate dalla sua povertà.
Ma mentre le pagine dei quotidiani francesi sono piene di recensioni, interviste e analisi sul Festival, in Italia, da tutte le parti (pure in quelle che vorrebbe essere diverse), già si dice che il film vincitore non lo andrà a vedere nessuno, che alla proiezione stampa la gente usciva (non è vero) e che quella roba lì piace solo ai cinefili chic.
Cannes 63 è stato a dir poco deludente, ma stare lì e vedere come il resto del mondo parla di cinema mi ha fatto capire che in Italia non siamo più in grado di parlare di nulla senza prima pensare a chi ci rivolgiamo o contro chi vogliamo sparare. Quand’è che cominceremo a parlare solo di cinema (e di arte, libri, tv, musica, cultura) senza vergognarci e senza paura che qualcuno possa non capire?
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