lunedì 13 settembre 2010

La fine del cinema d'autore

Ieri è morto Claude Chabrol. Aveva 80 anni, ha avuto una vita straordinaria, ha diretto non so quanti film (così tanti che il Torino Film Festival impiegò due edizioni per la retrospettiva completa) ed è stato uno degli autori simbolo della nouvelle vague, uno di quelli che tutti conoscevano anche se di film suoi ne avevano visti pochi. Morire dopo una vita così ci può stare, anche se la tristezza nel vedere la storia del cinema andarsene è tanta. Un po' come quella, immagino, che provava chi era giovane negli anni 70 e vedeva morire i grandissimi che aveva imparato ad amare proprio grazie a Chabrol e compagni: Ford (1973), Lang (1976), Hawks (1977), Hitchcock (1980). Chabrol è stato per la nostra generazione quello che Hitchcock è stato per quella di Chabrol, con la differenza che l'etichetta d'autore l'hanno coniata proprio quelli dei Cahiers. Il fatto che ora se ne vada anche lui, dopo Rohmer lo scorso anno, è significativo non solo perché muore un regista furbo e spietato, eccessivo e popolare, ma anche perché con lui se ne va l'idea stessa di autore, il modello di cinema con cui siamo cresciuti e che stiamo imparando ad abbandonare.

Gli autori non esistono più, se esistono non creano né movimenti d'opinione né fanno innamorare i giovani cinefili, mentre il cinema prosegue strade che fatichiamo a percorrere o che non siamo ancora in grado di prevedere.

L'andamento dei festival di quest'anno, tra Cannes autoriale e vecchio e Venezia bulimica ma nuova, la dice lunga su ciò che ci aspetterà nei prossimi anni: non è Avatar, infatti, ancora autoriale, ancora evento, ancora pezzo unico e pregiato, a dettare la linea del futuro, ma è la fine di un'idea condivisa di spettacolo e produzione artistica a togliere la terra sotto i nostri piedi.

Venezia quest'anno ha deciso di percorrere una possibile strada, quella della cinefilia colta e ricercata, ma per fare questo ha abbandonato tutto il versante glamour che l'ha sempre sostenuta: far coincidere le due cose non è quasi più possibile e chi ci prova, come Cannes, fallisce per mancanza di film all'altezza, cioè film sia di qualità sia di grande richiamo. Chabrol a volte era in grado di farlo (penso al duo Huppert-Bonnaire in Il buio nella mente) e come lui altri registi ancora più grandi e celebri (tutti gli americani della generazione successiva): ma Chabrol è morto, e pure Scorsese non è più quello di una volta, Coppola fa il vino e Lynch il buddista...

Nessun commento:

Posta un commento