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venerdì 31 agosto 2012
Venezia 69 - L'immortalità dell'immagine
Uno ha un bel dire, no, non è possibile che tutto sia già stato fatto, che ogni cosa detta oggi si poteva dire meglio (o è stata detta meglio) trenta, quaranta, cinquanta anni fa, che il cinema rispetto al teatro o alla musica contemporanea, essendo un'arte relativamente giovane (ma purtroppo capace come nessun altra di invecchiare in fretta), ha la possibilità di dire cose nuove, di cercare in continuazione uno sguardo diverso, più attento, più curioso, meno filtrato, sulla realtà - e i festival in teoria proprio a questo servono, a verificare dove gli occhi sono freschi e voraci - uno ha un bel dire, insomma, che venire qui a Venezia sia come affrontare un corso di formazione, come gettare uno sguardo dal ponte, ma... Ma, porca vacca, quando poi, proprio mentre sei qui, in quello che in teoria dovrebbe essere il tempo presente assoluto del cinema, ti capita di vedere la copia restaurata dei Cancelli del cielo di Cimino nella sua versione originale, quella da quasi quattro ore, allora ogni discorso va a farsi benedire, allora ogni sguardo all'indietro diventa un gesto d'amore, la riscoperta di un respiro, di una potenza di messinscena che oggi sembra irrimediabilmente perduta, quasi fosse colpa, non dei registi, non dei film che si fanno, ma del cinema stesso, o più ancora colpa nostra, incapaci come siamo ormai di liberarci dalle immagini e quindi drammaticamente legati a esse, incapaci, ancora, di ammirarle e desiderosi solo di possederle. Vedere i Cancelli del cielo, è come cercare di comprendere il miracolo del cinema e dell'arte e ovviamente restare inappagati: il mistero che resta, però, è ciò che rende un film immortale. Oggi, forse, abbiamo bisogno proprio di questa immortalità dell'immagine, visto che le nostre, di immagini, le consumiamo nel giro di un secondo e poi ci rivolgiamo ad altro, se qualcosa ancora da fare o qualcosa da recuperare ancora non l'abbiamo deciso.
sabato 9 luglio 2011
Ore disperate
Tra le tante cose che mi fanno ridere a proposito della maxi multa a Mediaset per la vicenda del Lodo Mondadori, ce n'è una che non c'entra niente ma che per me è proprio la più bella: Marina Berlusconi è uguale a Michael Cimino.
lunedì 30 maggio 2011
Cinema eterno
Domani si apre a Torino la quattordicesima edizione di Cinemambiente, il piccolo ma ottimo festival dedicato alla tutela ambientale, all'ecologia, alla salute pubblica e a tutte quelle cose che in inglese si raggruppano, tra fiction e doc, sotto l'espressione "green cinema". Il presidente della giuria sarà Michael Cimino, uno che non ha certo bisogno di presentazioni, che a Torino parlerà del suo ultimo film, Verso il sole, che in un certo senso, con il suo elogio dello spirito puro dell'anima indiana e lo scontro tra fede e scienza, si adatta ai temi cari al Festival e in maniera inattesa - ché quel film è la cosa più anacronistica del mondo - potrebbe benissimo essere d'attualità. Per cui, insomma, ho deciso di andarmi a rivedere quel film, che avevo in VHS da qualche parte, e mi sono goduto la sua smagliante bellezza priva di qualsiasi decenza, tanto è spudorato nell'affermare il proprio amore per un modo di fare cinema morale e orgoglioso che già sedici anni fa era morto e sepolto. Mi sono immaginato di far vedere Verso il sole a uno che non ama il cinema visceralmente e credo con tutta onestà che quell'uno finirebbe per dirmi che è un boiata superficiale e new age. E probabilmente - guardandola dal suo punto di vista - avrebbe anche ragione. Perché Cimino faceva un cinema che veniva da un altro mondo, specie quando ha cominciato a farsi i fatti suoi e a girare i film che volevano gli altri nel modo in cui voleva lui. Per cui mi sembra giusto che abbia chiuso la sua carriera nel cinema con un film oggi abbastanza raro da trovare e così lontano da tutto e da tutti da essere quasi eterno.
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