"Sì, sì, i cari dresdiani," meditò Arbogast, "desiderano sempre e solo tornare indietro. Neogotico, neorinascimentale, neomonarchie. Diventano grandi là dove possiedono 'di nuovo' qualcosa, dove possono di nuovo costruire... Il loro stile è un insieme di cose rubate, eclettico, non primitivo... e tuttavia nel complesso ha qualcosa di specifico, ed è anche amabile. Forse è questa la pratica dell'arte del futuro: ripetere qualcosa, pur pagando un tributo al tempo, così ciò che è stato diventi qualcosa di segretamente nuovo, possibilmente riconosciuto anche nella sua profondità, in modo tale da poter essere apprezzato. Un'arte della traduzione, in un certo senso... (...) Questo Teatro dell'opera è un sogno, è l'Inutile, il Superfluo che ha preso forma."
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lunedì 28 marzo 2011
"...l'Inutile, il Superfluo che ha preso forma"
Perché uno legge romanzi? Per trovare, scritto da altri, quello che già pensa ma non riesce ad articolare in maniera chiara. L'ho pensato ieri notte, mentre leggevo questo passo di La torre di Uwe Tellkamp, grande romanzo di cui avevo parlato qui. A un certo punto del libro, nella Dresda di metà anni '80, durante gli ultimi e decadenti anni della DDR, si inaugura il nuovo Teatro dell'Opera, ricostruito a copia carbone di quello vecchio, andato distrutto nel bombardamento della città nel '45. E un personaggio dice:
lunedì 4 ottobre 2010
La torre di Uwe Tellkamp
Oggi esprimerò un partito preso e segnalerò un libro che non ho letto di uno scrittore che non conosco. Capita, a volte, magari quando un risvolto di copertina ti seduce, quando ti incuriosisci per il racconto di un amico o, come in questo caso, quando leggi una recensione entusiasta. Così è successo sabato scorso, quando ho letto sull'Espresso questo articolo di Mario Fortunato su La torre di Uwe Tellkamp. Per Fortunato - che lamenta il fatto che nessuno tra i critici italiani si sia occupato del libro, uscito da Bompiani a inizio estate - quello di Tellkamp (ecco chi è) è "un autentico capolavoro. Un libro straordinario, vertiginoso, che pare chiudere i conti con la grande letteratura novecentesca, da Musil a Mann a Proust, e insieme aprire un varco verso il nuovo". La storia è ambientata nella Dresda degli anni '80, ai tempi della DDR, tra gli abitanti della Torre, un quartiere residenziale che sembra fuori dal tempo, tra ville fatiscenti e personaggi che grazie all'arte e alla cultura cercano di sfuggire al grigiore del sistema socialista. E' lungo 1303 pagine, ha il sapore di una sfida, parla di famiglie allo sfascio, racconta gli anni del comunismo agonizzante, l'ultimo sospiro di modernismo dopo l'inizio del postmoderno: insomma, sembra avere tutto per essere davvero un gran bel romanzone, di quelli che alla fine sai che hai fatto un bel po' di strada e non sei stanco. Lo consiglio, a scatola chiusa: poi al massimo faccio una rettifica.
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