In questi giorni sto leggendo Homer & Langley di E. L. Doctorow, un grande libro che ha molto a che fare con gli argomenti di cui ho scritto sovente qui sopra: vale a dire il peso degli oggetti, dei ricordi, dei nomi, dei luoghi, dei fatti del XX secolo, dai quali il nostro tempo sembra faticare a congedarsi. Per parlarne approfonditamente dovrei finire di leggerlo, certo, ma soprattutto dovrei cercare parole differenti da quelle usate oggi da Giorgio Vasta sul blog Minima & moralia. E perché, in fondo, visto che Vasta è così bravo? Quindi cito lui e rimando al suo pezzo, all'idea che nella vicenda vera di Homer e Langley Collier - due newyorchesi che alla morte dei genitori, negli anni ’20 del secolo scorso, si chiudono nella loro casa di Harlem immersi in un cumulo di materiali compulsivamente raccolti nel corso del tempo (e visibili nella foto qui sopra) - Doctorow intravede "qualcosa che trascende la semplice anomalia psichiatrica – la disposofobia, anche detta sindrome dei fratelli Collyer – e si cimenta nel racconto della natura più traumaticamente profonda del ’900, provando (...) a dare forma al XX secolo per prenderne congedo".