domenica 10 febbraio 2013

Berilnale 63 - Maledetta la musica

Maledetta la cultura pop, maledetti gli anni Ottanta, maledetti i videoclip, e gia' che ci siamo maledetta la pubblicita' e maledetto il fascino irresistibile della musica pop-rock applicato alle immagini; maledetta la moda che si prende tutto cio' che e' bello e lo fa proprio, che conserva la bellezza perche' le serve ma che uccide l'espressivita perche' un prodotto e ne devo essere privo, e maledetta la cultura della ripetizione, delle copie delle copie (delle copie, delle copie, delle copie...), che riduce il cinema ad affidarsi a cio' che gli riesce meglio - e cioe fondere il movimento con la musica, la velocita' con la riflessione - ma a generare cio' che gli viene peggio, vale a dire un'immagine che da narrativa si fa pura e semplice posa, un prodotto vuoto e ricattatorio che ti costringe pure a ritornare sulle tue idee, quando sei li' che guardi - e non sai nemmeno perche' lo stai guardando - un film inutile come The Necessary Death of Charlie Countryman e nel momento in cui partono i Sigur Ros, gli XX oppure questo pezzo fantastico degli M83, invece di abbandonarti alla gloria malinconica come hai sempre fatto nelle cuffie dell'iPod, ti accorgi con scontatissimo orrore che insieme alle immagini in movimento (qualsiasi immagine, non necessariamente quelle sparate a mille del film, manco fossimo ancora ai tempi di Lola Corre), l'indie pop e tutto il suo mondo ideale di sconfitta ed eroismo, gloria interiore e malinconia, diventa la piu' scadente delle merci inespressive, buona giusto per vendere un'automobile svedese ma non per farti innamorare di un'azione e di un pensiero. Poi uno pensa che forse non vale nemmeno la pena spendere cosi' tante parole per un filmetto vecchio come il cucco, e allora si mette l'anima in pace, sicuro che il cinema e la musica quasi mai dovrebbero andare insieme, e se lo fanno e' consigliabile che stiano a distanza, che il primo si limiti a filmare la seconda e insieme evitino di infettarsi a vicenda. Succede ad esempio nel bel film americano I Used to Be Darker, in cui una coppia di musicisti divorzia negli stessi giorni in cui arriva dall'Irlanda la nipote diciottenne. La musica c'e', allo stesso modo accompagna gli stati d'animo dei personaggi: ma nell'attesa paziente dei piani fissi di Matthew Porterfield c'e' quel tanto di inespresso e di sfumato che tocca allo spettatore cogliere e scovare, prima che una chitarra venga frantumata contro una colonna di cemento o una canzone in primo piano, triste e languida come solo gli americani possono fare senza essere derivativi, chiuda il film senza quasi che uno se ne accorga.

PS: scusate le lettere accentate con l'apostrofo, ma sulla tastiera tedesca non le trovavo.

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