venerdì 8 febbraio 2013

Berlinale 63. Ancora di terre e di mondi privati

Promised Land è un favoletta ben confezionata sui dubbi morali di un uomo onesto e appassionato del proprio lavoro. Non che sia da buttare, ma nonostante il nome di Van Sant dà l'idea di essere un lavoro anonimo e giusto, qualcosa che andava fatto anche se non se ne sentiva il bisogno. C'entra il problema ambientale, ovviamente, ma quello lo si può considerare un adattamento ai tempi che corrono. Anni fa, al posto dell'impatto ambientale di una pompa che estrae gas, c'era il nucleare, si giravano film come Sindrome cinese o Silkwood e l'impegno degli attori coinvolti (allora Jane Fonda, Michael Douglas, Meryl Streep), spesso in prima linea più dei registi, era pari a quello che oggi fa di Promised Land un film più di Matt Damon (co-sceneggiatore e inizialmente anche potenziale regista) che di Van Sant, senza per questo nulla togliere alla normale dialettica tra cinema di ricerca e cinema commerciale nella filmografia del regista. La cosa interessante di Promised Land, però, volendo cercare i segni della presenza del regista di Portland, Oregon, terra a ovest sospesa tra selvaggio west e sonnolenza da sobborgo, è proprio il conflitto tra l'universo geografico dell'autore e uno spazio americano per lui inedito, quello cioè delle comunità rurali della costa est, chiuse, calme e spesso nascoste all'occhio della tradizione cinematografica: mondi - americani anche quelli - lontani migliaia di chilometri dagli spazi aperti e dalle nuvole in viaggio dell'Idaho o della Death Valley. Il paesino della Pennsylvania in cui è girato il film è verdeggiante, quieto e povero, è la terra della crisi devastante racconta da Ruggine americana, una terra senza più identità o risorse, dove i segni della disperazione non sono nemmeno visibili, tanto sono incastonati nei volti e nei luoghi, ma proprio per questo lasciano spazio a un'idea diversa di comunità e ricchezza. La risorsa del futuro è invisibile: concretamente viene dalla terra, da una materia prima per cui nessuno può garantire la sicurezza; idealmente, invece, viene dall'intimità di ciascun individuo, da chi è libero di decidere con la propria testa e il proprio cuore.


Van Sant
non si ritrova molto nella comunità di Promised Land: ogni tanto ci mette una nuvola che scivola veloce su un prato, ma il più delle volte preferisce filmare con rispetto la calma di una terra sonnacchiosa che non ha nulla da dare, ma al massimo molto da trattenere. Per una volta, infatti, l'intruder della tradizione americana, il diverso che arriva nel paesino a sconvolgere le cose, non solo non fugge via, non solo non cambia le cose (visto che nulla si smuove, nemmeno dopo la battaglia contro il sedicente gruppo ambientalista), ma finisce per fermarsi e mollare il lavoro, finisce per diventare qualcun altro, o forse solamente se stesso, né redento né redentore e semplicemente uomo libero in grado di decidere per se stesso e lasciare agli altri lo stesso privilegio.

Promised Land
, in un mondo circondato da colline, chiuso ma non soffocante, oppone forze in contrasto tra di loro, racchiude conflitti che segnano la società americana contemporanea, ma alla fine di tutto non innesca nessuna miccia, non fa deflagrare alcuna tensione latente. Sarebbe stato più bello, ma anche più banale, siccome ancora una volta avremmo fatto notare gli scheletri nell'armadio nascosti nella provincia americano e quanto c'è di marcio sotto una torta di mele. Al contrario, invece, il film trova nella propria immobilità di sguardo e di idee la pura e semplice normalità del tempo che scorre (questo sì, un tema tipicamente di Van Sant), lasciando da parte qualsiasi idea di sconfitta o redenzione, qualsiasi scontro tra bene e male. La terra promessa, insomma, è ancora lì,  e da secoli non ci sono più frontiere da oltrepassare. O forse non c'è mai stata, e tutto quello che abbiamo è qui, in un mondo chiuso e povero che ciascuno, anche chi è parecchio lontano da noi, può trasformare nella propria terra privata. O forse no, forse una terra promessa non c'è mai stata e tutto quello che abbiamo è qui, in un mondo chiuso e povero che ciascuno di noi, anche quelli che non conosciamo e non capiamo, possono trasformare nella loro terra privata.

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