lunedì 11 febbraio 2013

L'orribile verità

Jessy e Celine sono ancora lì, nove anni fa si sono ritrovati e nove anni dopo sono ancora (e finalmente) insieme. Noi siamo con loro, non possiamo fare altro, e se mai ce ne fosse importato qualcosa, di Jessy e Celine, siamo sollevati all’idea che le cose tra loro siano durate. Al terzo capitolo, come se non ci si fosse mai lasciati, ci ritroviamo a ricordare i trascorsi, a goderci il presente, a ipotizzare un futuro. Before Midnight è tutto ciò che una commedia non può e non deve essere: il racconto dell’orribile verità che contraddistingue l’amore e che giustamente a Hollywood, nei tempi andati e sempre rimpianti, nessuno si sognava di mettere in scena. L’amore è una cosa troppo noiosa per raccontarla con una commedia, a pensarci bene ha poco a fare pure con il cinema e con i desideri degli spettatori. La prospettiva dell’amore o il desiderio dell’amore, quelli sì. Ma l’amore vissuto, no. L’amore vissuto, come Linklater dimostra di sapere fin da Prima del tramonto, va oltre il genere, oltre la narrazione, e appartiene piuttosto a un limbo indistinto dove il senso di realtà influenza ogni sensazione e dove la familiarità tra i personaggi e lo spettatore conta più di qualsiasi aspetto formale del cinema stesso. E infatti Before Midnight rinuncia a qualsiasi tipo di costruzione che non riguardi ciò che succede dentro l’inquadratura e non coinvolga i soggetti dell’amore stesso, i corpi e soprattutto le teste parlanti dei due innamorati, accettando il peso (e noi con lui) di un’ambientazione mediterranea da ufficio turistico, di una musichetta da filmino delle vacanze e di stacchi di montaggio che nemmeno Don Matteo. Questa volta a contare sono lo snodarsi sullo schermo della dolorosa banalità della relazione, l’interazione naturale tra i due attori, e soprattutto la normale eccezionalità della loro esperienza. È il miracolo di un amore veritiero che solo il cinema può mettere in scena, avendo dalla sua il tempo e i corpi. Before Midnight realizza così il sogno di una finzione che dura il tempo di una vita e di un cinema che può vivere oltre se stesso, ricominciando ogni volta non da capo, ma un poco più avanti della volta precedente, nove anni fa con il ritrovamento dopo l’abbandono e ora con la normalità del quotidiano. Non c’è bisogno di raccontare nulla, se non la dinamica di una coppia che gestisce la propria vita come milioni di altre e proprio per questo, per essere credibile, non può e non deve separarsi. Altrimenti, addio alla credibilita’ e al sogno. Addio, soprattutto, a quello stato di grazia dove il desiderio incontra il senso di realta’, unendo su un solo piano il massimo della finzione con il massimo della banalità.

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