mercoledì 16 gennaio 2013

Run for cover, un po' sì e un po' no

L'altro giorno ho visto Les Misérables, che uscirà nelle sale tra due settimane, e come immagino tutti quelli che l'avessero già visto, mi ha fatto pensare ad Anna Karenina, la trasposizione scritta da Tom Stoppard, che a forza di prendere i classici e trasformarli in versioni per adulti di libri illustrati finirà per renderne conto ai loro autori, fino a qualche mese soprattutto a Shakespeare, ora pure a Tolstoj. In entrambi i casi, comunque, c'entra la Universal Pictures e in un certo senso, né negativo né positivo, i due film sono la prova di cosa deve fare Hollywood, e in generale il cinema di serie A, per sopravvivere a se stesso, visto che di farsi venire in mente un'idea neanche a parlarne ma a ricamare sui soliti vecchi tessuti ci si mettono sempre d'impegno. Les Misérables e Anna Karenina, al di là del fatto che per me sono entrambi di una noia colossale (ma sono gusti personali, non me la prendo con chi apprezza), sono innegabilmente degli ottimi adattamenti, il primo appassionato e a tratti pure commovente (voglio vedere se non ti viene il groppone a sentire quella canzone pesantona, quella della tizia che ha sognato il sogno, che come il buon Chopper ti prende alle palle), il secondo pieno del più classico wit inglese (almeno nella prima parte), tutto balzelli e passettini, quinte su e quite giù, teatro della vita e vita come il teatro... Epperò sono il solito vecchio romanzone (nel vero senso della parola e pure in quello cinematografico, cioè il filmone da due ore e passa con gli attoroni e i costumoni) rimodellato non tanto al gusto di oggi quanto alla necessità di rifare le cose in modo diverso, sempre uguali e sempre diverse, run for cover come si diceva di Hitchcock, che significa più o meno non rischiare e vai sul sicuro, ma al tempo stesso anche un po' no, e allora inventa qualcosina e rischiane un'altra, ché tanto gli attori bravi a pararti le spalle, quelli che fanno di credere di partire in quarta quando invece fanno un figurone anche solo in folle, quelli li avrai sempre e li puoi pure sfruttare per l'effetto X Factor, dove la coreografica e tutto ciò che sta attorno fanno ciò che la canzone o la trama non possono più fare, mentre dall'altra parte prendi un librone polveroso e spesso come un copertone e lo trasformi in un balletto ritmato, in un catalogo di primi piani anche qui di professionisti estasiati e ovviamente tirati a lucidi per piacere a tutti, etero e omo, e in qualche modo la sfanghi, ripeti un milione di volte Jean Valjan come se fossi il primo a dirlo, metti prima Dio e poi il popolo (mica il contrario), condensi nella scenografia tutte le idee che ti vengono in mente e provi a rivitalizzare quello che nessuno si è mai preso la briga di considerare morto (o, a seconda di come la vedi, vivo) e continui imperterrito a confezionare da primo della classe la solita impareggiabile merda, però stavolta indiavolata e frizzantina.

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