giovedì 1 settembre 2011

Venezia 68 - Teorema della distruzione

Carnage è esattamente quello che ti aspetti. Ed è esattamente un film straordinario. Polanski è uno dei più grandi e dopo The Ghost Writer ha di nuovo fatto una delle cose che gli riesce meglio. Là era il giallo alla Hitchcock, qui il cinema da camera. Come in La morte e la fanciulla, chiaro, ma soprattutto come in Cul de sac - vale a dire un gruppo di persone al chiuso che si massacrano allegramente - visto che qui Polanski, a partire dal testo teatrale Il dio della carneficina, recupera ironia e cattiveria. E spietatezza, naturalmente. E pure un po’ di prevedibilità, visto che alla fine i borghesi sono sempre superficiali e ipocriti, felici eppure disperati, vorrebbero andarsene ma come nell'Angelo sterminatore di Bunuel non ce la fanno mai a uscire. Parlano e rovinano, rovinano e poi parlano per recuperare. E tutto viene fuori poco alla volta, come un muro d’acqua che rompe una diga piano piano, prima col buchino nella parete di cemento e poi con lo scroscio devastante. Il vero lavoro di Polanski, comunque, è sulla messinscena, a dimostrazione che un film del genere, dove tutto sta sulle spalle degli attori, lo gestisci più che dirigerlo, lo allestisci come un balletto, come una costruzione che ampli pezzo per pezzo, inquadratura per inquadratura. In questo Polanski è sempre più hitchcockiano, perché non lascia respiro al film, lo rende artificiale e distante per costruire un teorema della distruzione. Le parole sono come le immagini. Le immagini sono come le parole. Non puoi buttarle lì e far finta di niente. Bisogna prendersi le proprie responsabilità, come uomini e come artisti. Oppure fottersene di tutto e distruggere. Oppure, ancora, distruggere proprio perché prima si è costruito.

Il piano sequenza che apre il film e sta sui titoli di testa fa vedere come la realtà sia multiforme e inattendibile: un piano d’insieme diventa senza soluzione di continuità una lite tra bambini. Poi arriva la costruzione da cinema classico, un piano medio, una parola infelice “armed” (armato, si parla di un ragazzino che ha ferito un amico con un bastone), e un padre di famiglia, un avvocato, che – stacco – contesta la parola. La realtà è stata spezzata dal montaggio, dal cinema classico e dal suo inevitabile campo-controcampo: tutto ciò che verrà non sarà altro che distruzione. La vita continua, il cinema non si sa…

Nessun commento:

Posta un commento