giovedì 7 luglio 2011

Achilles Mourning the Death of Patroclus (Rome)

Ieri è morto Cy Twombly, che io credevo deceduto da tempo (in reltà non mi ero mai chiesto se fosse ancora vivo o meno: lo davo semplicemente per morto perché l'avevo studiato su un libro) e che sapevo essere trasferito a Roma negli anni '50 e da lì mai più mosso. Twombly è stato uno dei grandi artisti americani emersi negli anni dell'espressionismo astratto, del nouveau realisme e della pop art e per quanto mi riguarda è stato anche il pittore che ho più faticato a capire e sovente a difendere dall'accusa per cui anche un bambino saprebbe fare quella roba lì. In effetti, nel suo caso era proprio difficile trovare qualcosa di concreto da opporre all'impotenza dello sguardo smarrito e privo di appigli. Perché i suoi quadri era davvero come scritte di bambini, muri bianchi scrostati e graffiati come lavagne di scuola, in un certo senso graffiti che riportavano l'arte a una condizione primitiva. Personalmente, però, per quanto perplesso di fronte al loro vuoto esemplare, ho sempre pensato che i segni selvaggi di Twombly non fossero regressioni, linguaggio ancora incerto, ma piuttosto resti, rimasugli di storie, ricordi e racconti. Segni che testimoniavano l'operato del tempo sulla psiche, che sovente si ricollegavano a storie mitologiche e leggende popolari per testimoniare la fragilità del sapere e dunque dell'arte.

Qualche anno fa, di fronte al'opera che ho messo qui sopra, esposta in un museo di Berlino, mi sono chiesto perché si chiamasse "Achilles Mourning the Death of Patroclus (Rome)": c'erano scarabocchi rossi su un muro bianco, costruzioni di matita solamente tratteggiate, un gran vuoto a inghiottire una tela gigantesca.

Lì per lì non mi sono dato una risposta, poi un giorno ho capito che quello schizzo di colori in un campo vuoto era tutto ciò che mi restava dei racconti mitologici ascoltati in una vita da studente, dai tempi delle elementari agli incontri casuali in saggi dell'università o in romanzi. Racconti anche bellissimi, sognanti, eroici, che a ogni ripetizione si delineavano nella mia testa luncenti e muscolosi come quadri di David e poi si scioglievano in poco tempo nell'indefinitezza del ricordo, macchie di colore in un vuoto inerme.

Ecco, insomma, al di là della mia incapacità di tenere a mente gli episodi della mitologia classica, credo proprio che Twombly raffiugarrasse quella roba lì, l'impotenza di fronte all'inevitabilità del tempo.

Per cui, ecco, anche se lo davo morto da anni, mi spiace un po' che se ne sia andato.

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