"I think I'm supposed to buck up and be the professional widow," she says, with another quick laugh, "and I have found that very hard. Very hard. I mean one day you are a couple living in a little house and watching The Wire box-set for the third time, and letting the dogs do their antic stuff, and then suddenly you are supposed to be functioning as the great writer's widow. That wasn't how we lived when David was alive. I felt about him like I would if I had been married to a sweet school teacher. So I ignored everything for a long time. Until now, really."Perché in fondo la ragione per cui si continua a parlare di Foster Wallace è che tutti sanno, più o meno, che di grandi come lui ne arrivano pochi e che quindi averlo perso è una cosa davvero irreparabile. E che di romanzi incompiuti come The Pale King (che ha senso proprio perché l'incompiutezza faceva parte dell'idea di letteratura di Wallace, sempre all'inseguimento di un modello irraggiungibile di universalità) non ne arriveranno più. Per cui, aspettiamolo in italiano e leggiamolo con tutta la calma del mondo, magari cominciando, mollandolo, riprendendelo e ricominciandolo da metà come ho già fatto un milione di volte con Infinite Jest, in fondo troppo grosso per essere un semplice romanzo.
sabato 25 giugno 2011
So I ignored everything for a long time
In un modo o nell'altro si torna di continuo a parlare di David Foster Wallace. Perché qualche mese fa è uscito il suo romanzo incompiuto, il magico, abissale, complesso The Pake King (che ho provato a leggere e capire in lingua originale, ma non essendo abituato l'ho mollato abbastanza presto), perché ogni tanto qualcuno ne parla, tipo Franzen, che durante il tour promozionale per Libertà ha parlato spesso e volentieri, con un misto di commozione e affetto, dell'amico perduto, e tipo sua moglie Karen Green, che oggi, come mi hanno segnalato alcuni amici, ha concesso la sua prima intervista da quando, quasi tre anni fa, il più grande scrittore americano dagli anni '80 in poi, eccessivo e lucidissimo (troppo eccessivo, troppo lucido) genio del discorso e della costruzione logica delle frasi, ha dichiarato conclusa la sua battaglia contro la depressione e deciso di impiccarsi. L'interivsta è lunga e toccante, soprattutto perché la signora Green, che è un'artista, svicola abilmente dal dolore nascondondosi dietro la storia della "macchina del perdono", un marchingenio di sua invenzione che servirebbe a incanalare la rabbia verso chi se ne è andato o verso chi l'ha fatto andare. Poi parla del suo essere vedova, del suo rapporto con il marito ora che non c'è più. E tratteggia quello che mi sembra un ritratto perfetto e malinconico del dolore silenzioso e dubbioso di una donna che non sa cosa pensare, ora che la vita la costringe a essere una nuova persona, staccata da quello che era il suo illustre marito:
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