giovedì 17 marzo 2011

Tournée

Domani esce nei cinema Tourné di Mathieu Amalric, che dopo la presentazione (e il premio per la regia) a Cannes, in Italia si è visto al Torino Film Festival. Il fatto che esca è un miracolo distributivo, per cui, mi raccomando, chi non l'avesse visto non lo perda. E' un film bellissimo, istintivo, rabbioso, in cui la moda del burlusque c'entra relativamente, essendo il vero tema la rivolta contro l'egemonia culturale di Parigi ed essendo i corpi dei personaggi, Amalric in testa, coi suoi occhi e i suoi baffi, i veri protagonisti. Tournée è lo specchio degli occhi famelici e bambini dell'attore e regista, occhi che si mangiano la vita, che trasudano ironia, innocenza, dolore. Il suo film racconta il viaggio in Francia di una compagnia di ballerine americane e del loro impresario, ma soprattutto racconta situazioni di una delicatezza straziante. Amalric sembra gettato nel mondo e i dialoghi che scrive pure: quello notturno con la benzinaia, che per un attimo diventa la donna della vita, è commovente, a distanza di mesi dalla visione di Cannes penso ancora sia una delle cose più belle viste al cinema negli ultimi anni.

Tournée è un film sull’essere fuori dal tempo, con le attrici che ballano il burlesque degli anni ’30, con Amalric che ha i baffi anni ’70, con una magnifica sequenza finale che sembra venire fuori da ciò che resta nella memoria di Shining, con un albergo vuoto e retrò messo su un'isola deserta. Parigi per una volta (e in modo per l'appunto polemico) non è la protagonista, c'è - e sarebbe meglio non ci fosse - solo per essere insultata e deturpata; tutto, però, gira intorno alla capitale, in un grande autoesilio senza fine, con piccole e tristi città di mare di cui si vede pochissimo e un'unica grande periferia-nazione popolata da persone escluse dal bachetto e condannate a destini di estraneità ed esilio.

Il cinema, in fondo, è condannato a percepire e a raccontare tutto. Amalric, invece, sceglie la marginalità come sistema di rappresentazione, prima ancora che come condizione di vita: mette al centro della scena uomini e donne destinati a restarne ai margini e prova a dar loro una terra promessa da attraversare. L'esito è un urlo selvaggio che potrebbe nascere dalla disperazione, ma pure, al tempo stesso, l'inizio di una canzone esaltante che attesti l'orgoglio di esserci ancora e di continuare a viaggiare.

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