mercoledì 16 febbraio 2011

Nader e Simin

Dopo Béla Tarr, finalmente un altro film in concorso degno del posto in cui sta: Jodaieye Nader az Simini (titolo internazionale: Nader and Simin, a Separation) di Asghar Farhadi, l'autore del notevole About Elly. Come il suo predecessore, anche questo film racconta della borghesia di Teheran - la colta e benestante borghesia occidentalizzata della città - e dei suoi drammi privati trasformati in tragedie civili. E come in About Elly, anche in Nader and Simin, a Separation la disamina di un evento centrale costruisce l'intero film, con le diverse versioni di ogni personaggio che si scontrano le une contro le altre, ma soprattutto sbattono a vicenda contro le regole scritte e non scritte di una società lacerata dalla sue stesse contraddizioni. Farhadi non ci va leggero con il regime, ma la struttura del suo film nasconde le accuse e mostra solo le conseguenze: uomini e donne agiscono, sbagliano, attaccano, si difendono, hanno dubbi, fragili certezze, ma tutto si disperde in un mondo che come prima colpa ha quello di non essere in grado di evolvere con la stessa rapidità delle persone che vorrebbe controllare. La religione c'è, la libertà pure, la legge che sa ascoltare anche, ma tutto sembra inutile, ogni cosa disperde le proprie ragioni in un mare di altre ragioni. E così l'accusa più diretta al regime iraniano è proprio quella che mette all'indice la sua debolezza, peggio ancora la sua assenza. Non credo lo vedano di buon occhio da quelle parti, un film come questo: chissà cosa ne penserebbe Jafar Panahi, se solo la sua presenza in giuria, qui alla Berlinale, fosse qualcosa di più concreto di un semplice e inutile gesto politico.

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