E dopo Checco Zalone, Cetto Laqualunque. Botteghini sbancati, protagonismo televisivo, arrovellamenti culturali, riflessione curziomaltesesca sull'inevitabile neorealismo delle cazzate nell'attuale società italiana e l'ammissione, da parte dello stesso Albanese, di una vittoria della realtà sulla surrealtà. Il film uscito in questi giorni, sulle cui poche qualità non si sono dilungati in molti (al massimo c'è chi ha scritto le recensione aggiungendo un "-mente" alla fine di ogni parola), non è arrivato nel momento sbagliato, come si è detto con un po' di sconforto dopo gli scandali di Villa Arzilla. E' il personaggio, per quanto geniale (forse il migliore di Albanese), a essere troppo vero, troppo vicino alla realtà per realizzare quel ribaltamento giullaresco di cui ha bisogno il comico. Cetto Laqualunque non è uno di noi, come Zalone, ma è tra di noi, nella società che ci gestisce, è una versione rielaborata ed eccessiva di quel disimpegno civile evidente nei politici da salotto televisivo. Albanese, da attore puro qual è, ha colto un'onda amorale ed estetica e le ha dato un volto, una parrucca da puttaniere, un accento da bandito e una volgarità gratuita che sembra la somma delle impressioni che si potrebbero avere mettendo insieme vari impresentabili rappresentanti del nostro paese (metteteci voi chi preferite).
Così facendo non ha rovesciato il mondo ma è si limitato a inseguirlo, pensando probabilmente che gli sarebbe bastato per mettere in scena la più devastante della carnevalate. Ciò che ha messo sottosopra, però, è il linguaggio di quel mondo, come colui che ha capito di non potersi esimere dallo sfascio collettivo, ma ha ancora la forza di tirarsene fuori. Con Cetto Laqualunque l'ipocrisia si è trasformata in sfacciataggine, la volgarità ha rubato la scena, i collegamenti tra i fatti - vero anello mancante tra la realtà e la comunicazione televisiva - hanno dato vita a conseguenze impensabili: si comincia col dare la precedenza a un stop, dice Cetto al figlio, e si finisce col diventare finocchi. Genio puro, non c'è che dire. Ma anche, purtroppo, genio che non mostra alla realtà il suo lato grottesco, come avrebbe fatto il Benigni di un tempo, bensì le cambia direzione, mischiando le pedine a partire da un dato comune e assodato. E cioè che la politica, questa politica, fa schifo e può solamente vivere dei propri escrementi. Cetto Laqualunque cambia l'ordine delle portate, ma il gusto finale rimane quello di sempre.
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