lunedì 10 gennaio 2011

Lo schermo immaginario

Mi sono ripromesso di non parlare quasi mai di film, libri o dischi che non amo. La stroncatura negativa era lo sport preferito della critica fino a qualche anno fa e anche se oggi si pratica un po' meno, quella di demolire un film per il semplice piacere di distinguersi rimane una pratica soprattutto orale, specie se in coda pre-proiezione, tipo scena di Io & Annie, con il Fellini mancante di strutture coesive, il "grande tecnico del cinema" che diventa un autore indulgente, anzi "uno degli autori più indulgenti"... Ecco, per dire, quella cosa lì che Allen prendeva per i fondelli esiste ancora, ma più sovente, forse, esiste la sua controparte, vale a dire la lode a senso unico, l'esaltazione acritica del lavoro di un cineasta. Se penso ai film usciti in questi giorni, penso a Hereafter di Eastwood, che per me è un film decisamente mediocre, ma che per molti critici, pure per quelli bravi, è a tutti gli effetti un capolavoro. Perché è un film di Eastwood, naturalmente, mica per altro.

Perché c'è la musichetta composta dallo stesso Eastwood e ormai tipica di ogni film di Eastwood (e Luca Sofri nota come sia copiata dal concerto per pianoforte numero due di Rachmaninoff), perché non si può più parlare male di un film di Eastwood, e perché, in più, questa volta, oltre a Eastwood, c'è pure Dickens, e allora tutto quello che si dice nel film non è buono e giusto perché lo dice Eastwood (EastwoodEastwoodEastwoodEastwoodEastwood), ma perché lo dice Eastwood (EastwoodEastwood EastwoodEastwood) con l'appoggio di Dickens, come se bastasse girare una scena nella casa londinese di Dickens per far comprendere a tutti che il film cresce sotto una luce dickensiana.

Se così fosse, un qualsiasi regista cane di questo mondo potrebbe appendere alle pareti di una stanza un poster di Godard e tutti loderemmo il suo film perché concepito all'ombra di Godard: quando anni fa succedevano cose del genere, specie se fatte da qualche indipendente americano, si sentivano gli ululati in platea.

Non parlo di Hereafter, a parte il giudizio sbrigativo che ho dato poco sopra, perché non mi va di parlar male di un film. Un grande regista è tale anche quando sbaglia film o quando comincia a invecchiare: e Eastwood rimane grandissimo anche se gli ultimi suoi film sono stanchi e sbadati. Ma quella che dovrebbe essere un'opinione così scontata da non richiedere conferme, diventa invece una posizione critica da opporre agli "autoriali" per vocazione, quei critici (vedi questa rivista, per esempio) che difendono a spron battuto qualsiasi opera di un loro beniamino, tappandosi orecchie, bocca e soprattutto occhi di fronte a uno schermo sempre più immaginario.

5 commenti:

  1. e perché dovrebbe essere opinione scontata che hereafter sia mediocre? a me è piaciuto, a differenza di invictus, ad esempio... e non mi sento un autoriale per vocazione (sì, vabbè, appena un poco...)
    ps: sono tossico dell'ultimo dei national, mi devo preoccupare?
    un abbraccio

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  2. Mi sono espresso male. Scontato, per me, è che un grande come Eastwood rimanga tale anche quando fa dei film mediocri. Invece, nell'ansia di esaltare tutto quello che fa, ci vedo la paura di ammettere che non è più il regista straordinario di Mystic River. Si dice "ok, è un film un po' strano e assurdo, ma è pur sempre di Eastwood, dunque è bello, profondo, interessante, eastwoodiano a tutti gli effetti"... Spero di essermi spiegato.
    In ogni caso, tossico di High Violet lo sono da mesi e sono ancora vivo. Per cui non preoccuparti! :-))

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  3. Al di là dell'insopportabile abuso del termine capolavoro della stampa nostrana, secondo me c'è un problema di malafede e disonestà intellettuale che se si parla di critica non solo inficia tutta la baracca dalle sue fondamenta, ma la rende gravemente complice del devastante degrado culturale del paese. Non è un caso che negli States il film di Eastwood sia stato accolto molto più freddamente rispetto a noi dove molte testate (specie i quotidiani) e moltio giornalisti hanno da tempo perso totalmente di credibilità. Mi colpisce che l'unica voce fuori dal coro sia stata mi pare quella di Gianni Rondolino sulla Stampa...

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  4. Completamente d'accordo con Guglielmo. E purtroppo vedo che più passano i giorni e più si leggono critiche esaltanti (non perché il film non le meriti, ripeto - in fondo potremmo sbagliarci - ma perché mi sembrano tutte votate alla cecità critica di cui sopra). In ogni caso, il pezzo di Rondolino che cita Gu (e che anche qui mi trova completamente d'accordo) lo si trova qui

    http://ultracorpiamericani.blogspot.com/2010/12/speciale-clint-eastwood-anteprima.html

    insieme ad altri interessanti interventi di gente qualificata.

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  5. sembra quasi che una volta fabbricato un marchio, il capitalismo della critica non possa che perpetrarlo, senza metterlo in discussione, non so se per pigrizia o per paura di far cadere un sistema critico che si appoggia a vari tasselli ritenuti forti e che invece, secondo me, dovrebbero sempre essere precari, messi in discussione, sia che si tratti di un regista, di una teoria, e così via. perché una critica che non si autocritica, che razza di critica è? facile criticare con il pilota automatico... vabbé, mi sono perso nelle metafore, ma se non sono stato chiaro, volevo riferirmi (anche) al solito pecoronismo. uno può amare l'ultimo film di East, e se lo motiva, va benissimo. però non si può continuare nella logica degli O stupiti quando esce l'ultimo di questo o quel regista musicista ecc, senza un minimo di onestà intellettuale. tanto più che sono proprio questi artisti già affermati ad avere bisogno di stroncature e a patirle molto meno degli esordienti, dato che hanno le energie (economiche e poetiche) per ricominciare la volta dopo. invece, cullandoli ed esaltandoli sempre, si arriva al paradosso woody allen, da genio del cinema a sfornacacche semestrale. se uno degli ultimi film di allen uscisse senza il suo nome, le stroncature si abbatterebbero contro il film fino a bruciare la pellicola.
    ho finito...

    g

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