mercoledì 13 ottobre 2010

Arte popolare e pigrizia collettiva

Ieri è morto Angelo Infanti, l'attore di cui fino a ieri nessuno si ricordava ma che a quanto pare tutti consideravano un mito per via di cinque minuti tratti da Borotalco di Carlo Verdone. Oggi in rete è ovunque il video della scena di Manuel Fantoni che le spara grosse con Verdone e se ne parla con il solito misto ambiguo di ammirazione e superiorità verso l'arte popolare. Sul Post Flavia Perina parla della scena come di un modello dell'Italia di allora e di oggi, ricollegando la boria di Fantoni (il cargo liberiano, la Bombay con i morti per le strade, Richard Burton sbattuto a calci fuori di casa...) al costume politico dei nostri tempi: sacrosanto, non c'è che dire. Ma è proprio in nome della rivisitazione acritica di quell'arte popolare, che era volutamente e necessariamente minore, che oggi la spocchia di Fantoni, fittizia nel film, è diventa vera nella realtà. Ho sempre pensato che quando si perde la distinzione tra il bello e il condiviso, tra l'arte e la capacità di cogliere le spinte di una società, si perda anche la distinzione tra ciò che giusto e ciò che è sbagliato, tra ciò che è vero e ciò che è fasullo. La comicità di Verdone era vera, l'esaltazione dei comportamenti eccessivi di alcuni suoi personaggi è una costruzione, un tentativo, l'ennesimo, di giustificare vizi personali (la boria, la volgarità, la pigrizia) attraverso la scusa dell'idenfificazione collettiva. Identificazione vostra, se posso permettermi.

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