Potiche, si diceva. Dunque: il film è una commedia che fa ridere, per cui si può dire centri pienamente l'obiettivo. La questione che mi mette la pulce del sospetto, però, è proprio il perché faccia così ridere. O meglio, il perché il pubblico (io compreso, s'intende) accetti di ridere. E allora la cosa diventa interessante. Perché Potiche è una commedia vintage ambientata negli anni 70 e girata con lo stile del cinema commerciale francese del tempo: c'è tutto quello che ci si aspetta di vedere, dallo split screen alla musica swing leggera leggera, dai colori sgargianti ai primissimi piani totalmente stranianti, dalle acconciature ai costumi. Tutto. C'è come una patina, una confezione che fa credere prima al dispositivo e poi alle battute: si ride perché c'è la cornice kitch e camp, che fa passare battute intelligenti e battute idiote come parte di un sistema più ampio. La risata, insomma, è un po' imbastardita, nasce da un sospetto, dalla malfidenza e dalla sospensione del dubbio di fronte alla natura delle immagini.
Fin qui non ci sarebbe nulla di male, ma Ozon, che scemo non è, a un certo punto del film, una volta che ha conquistato lo spettatore, comincia a spacciare idee che proprio così kitch e volutamente stupidotte non sono. Tipo che i ricchi possono governare un paese, che se uno migliora le sorti di un'azienza non che può che migliorare anche quello di uno stato, che se è una donna è forte e volitiva in famiglia, allora può esserlo anche nella sfera pubblica. Non vi ricorda niente, tutto ciò? Non vi sembra che l'abbiamo già vissuto? Che lo stiamo ancora vivendo?
Il cuore è con la protagonista, certo: ma non è che in questo caso la risata funzioni da fumo negli occhi? E non è strano che per credere alle immagini si debba prima far capire che si sta prendendo un giro una tradizione, che si prendono le distanza dal proprio stesso film? Ecco un film pericoloso, a mio modo di vedere: fa ridere, ma a volerlo prendere sul serio, la risata fa venire la pelle d'oca.
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