I mondiali, Zidane e le storie del calcio

Sono iniziati i Mondiali e le tv di tutto il mondo sono lì con il loro immancabile baraccone. Per i registi deve essere una goduria pazzesca: dolly sopra la porta prima di un corner, panoramiche dal fallo laterale all’area, inquadrature aeree da cui non si capisce una mazza, primi piani di calciatori, allenatori, tifose fighe e tifosi cessi che staccano non appena il gioco è fermo. Sempre a proposito della fine della noia. Il calcio in tv ormai è cinema a tutti gli effetti, e pure della peggior specie: cinema che si agita, che non sta mai fermo, che monta frenetico per stordire e non far capire.


Il paradosso è che come tutti sanno tra cinema e pallone non è mai corso buon sangue e a parte la rovesciata di Pelé in Fuga per la vittoria o la partitella di Marrakech Express non ci ricordiamo di nessuno episodio decente legato al calcio. Il problema è di natura linguistica: il calcio è ampio, lungo, aperto, mentre il cinema è l’esatto contrario, è stretto, rapido, serrato. Il pugilato, quello sì che lo puoi raccontare (e infatti di film ne hanno fatto a palate), lo racchiudi in un pugno o in volto, ma il calcio no, il calcio non lo controlli, non lo spezzi se non lo vuoi snaturare. L’unico modo, forse, è usare il rallentatore, ma allora si filma la bellezza del gesto, non l’esaltazione del gioco.

Qualche anno fa, un documentario su Zidane (cosa darei per rivederlo in mezzo al campo ancora una volta, solo una…) girato con obiettivi della Nasa spezzava il corpo di un calciatore, ne faceva l’icona frammentata del nostro mondo fatto di slogan, news, pillole (sempre a proposito della fine della noia…) e trasformava la tensione del gioco nell’emozione di un singolo. Si chiamava Zidane, un portrait du 21e siècle, era bellissimo e raccontava una storia tra le tante che nascono durante una partita.

Ma il calcio vero, quello che dura 90 minuti, nessuno è mai riuscito a imbrigliarlo nelle maglie di una storia compiuta. In America lo fanno da sempre con il baseball e il football, ma lì trasformano in mito qualsiasi cosa, mentre da noi (e il calcio è uno sporto nostro) il mito non ce l’abbiamo, e se anche l’avessimo non sapremmo come renderlo umano.