E questo perché, secondo lui, è uno scrittore che non dà messaggi, che scrive libri lunghissimi con storie che se le racconti impieghi un paragrafo, che segue linee di pensiero liberissime e non si ferma mai, pur mantenendo un controllo assoluto sulla parole. Un po' come fa il cinema, che anche quando è senza un filo conduttore è pur sempre compresso in due bordi orizzontali e due verticali.
Come scrive Piperno, in Herzog, il capolavoro di Bellow, "è tutta una divagazione, è tutto un naufragio". E io trovo l'immagine bellissima, convinto che se un romanzo ti dice lui come camminare o quale strada prendere o quale seguire per non perdersi, allora non vale troppo la pena leggerlo.
A proposito di naufragi, poi, mi viene sempre in mente quello che scrive Leonardo Cohen, tradotto da De Andrè, in Suzanne
... e poi quando fu sicuro / che soltanto agli annegati / fosse dato di vederlo / disse: Siate marinai finchè il mare vi libereràEcco, Bellow è uno scrittore che ti fa annegare nelle parole: forse per questo alla società dello spettacolo piace così poco. La questione è se esserne grati opure no. A me pare di sì, così non fa la fine di Roth o McCarthy, grandi, grandissimi scrittori con una reputazione da prima fila in libreria che alla lunga ha finito per non giovare alla loro immagine. Fortuna che la loro grandezza per ora resiste.
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