La scorsa settimana è uscito da Einaudi Rosso Floyd di Michele Mari, un'istruttoria che ricostruisce la storia dei Pink Floyd attraverso la deposizione immaginaria delle due anime più sensibili del gruppo: Barrett e Waters. Due giorni fa, invece, si è saputo (grazie al Post) che la macchina promozionale del prossimo mega-evento di Waters, che riprenderà lo show dell'80 di The Wall, ha profanato con scritte pubblicitarie uno dei templi dell'indie rock: il muro di Los Angeles contro cui si fece fotografare il povero Elliot Smith per la copertina di Figure 8.
Pare che qualcuno se la sia presa non poco (anche perché vicino alle scritte ci sono i fiori in ricordo del cantautore suicida) e che lo stesso Waters abbia dovuto fare le sue scuse su Facebook.
Al di là degli eventi spiccioli (in fondo chissenefrega di un muro di Los Angeles), la cosa mi ha fatto pensare al mito perdurante dei Pink Floyd e in generale alla pigrizia dei miti di massa. Perché, mi chiedo, stiamo ancora parlando di The Wall, e dei Beatles, dei Genesis e dei Led Zeppelin, non come parte di una (grandiosa) storia, ma come se fossero ancora vivi, attivi, simboli del tempo che viviamo e non di quello che abbiamo vissuto? Perché c'è gente che ascolta solo musica degli anni '60 e a X Factor, quando volevano fare quelli seri che di musica ne sanno, facevano cantare Eleanor Rigby ai concorrenti?
Non credo sia perché la musica di oggi sia meno bella. Credo dipenda dalla cultura di massa e dalla sua necessità di unire novità e sicurezza. La memoria nell'era della riproducibilità tecnica dell'arte è anch'essa riproducibile: magari ci penso su e un giorno o l'altro ne scrivo più approfonditamente.
Il punto è complesso. Credo che la liquidità totale che contraddistingue la nostra epoca (altro che riproducibilità tecnica), non permetta più a una canzone, un film, pure un libro forse, per non parlare di un evento, di entrare nell'immaginario collettivo. Per la musica è macroscopico: da quindici anni a questa parte per la prima volta dopo cinquant'anni non c'è una musica che sia espressione tipica e specifica del periodo... Non so bene perché (anche se qualche idea ce l'ho), ma è così... è un problema molto più ampio che va ben oltre la musica leggera...
RispondiEliminaComunque Eleonor Rigby è un gran bel pezzo... g
E' vero! Non ci avevo mai pensato. La riproducibilità tecnica ha creato la liquidità. Come Terminator 2, che va a fuoco e rinasce allo stato liquido. Comunque, per la musica contemporanea, l'unico modo di salvarsi è pensare se stessa come unica, senza legami con movimenti o stili. Esistono le collaborazioni tra artisti, ma per fortuna le correnti o i manifesti programmatici quelli non ci sono più.
RispondiEliminaE sì, Eleanor Rigby è una gran canzone. Se non la canta una tizia birignao di X Factor.
Il punto è che una volta, per i più, ascoltare musica era come andare nel negozietto di paese in cui potevi scegliere tra il tè, la tisana alle erbe e la camomilla, mentre adesso è un po' come andare in questi enormi centri commerciali con gli scaffali pieni delle miscele più improponibili per tutti i gusti. L'offerta musicale non viaggia più su due o tre canali, ma si è come frazionata per accontentare davvero ogni palato. Non so se dipenda da un maggiore anticonformismo stilistico, o semplicemente da una nuova strategia dell'industria musicale che si presta ad alimentare ed esaltare una presunta unicità degli stili (beh, ma in fondo questo è sempre accaduto, seppure in dimensioni più contenute). Fatto sta che, mi sembra, ciò abbia anche cambiato il modo in cui la musica si evolve, ovvero non linearmente ma in maniera diffusa (orizzontalmente)? Sembra quasi che ogni genere compia delle microevoluzioni rimanendo però sostanzialmente se stesso, mentre prima c'erano forse evoluzioni più epocali (dai Beatles ai Led Zeppelin ai Genesis ai Pink Floyd ai Sex Pistols agli Smiths, ecc) che, per forza di cose, hanno lasciato maggiormente il segno (ma credo che sia anche semplicemente un discorso di elasticità del cervello umano e della sua difficoltà a stare al passo con le evoluzioni). Anche sul versante della musica commerciale, ad esempio quella tunz-tunz da veri truzzi, a me sembra rimasta totalmente identica a se stessa nel giro degli ultimi quindici anni, e questo è quantomeno anomalo, visto che è indirizzata a un pubblico che insegue le mode più effimere. Dove volevo arrivare? Non ricordo più, ho perso il filo. Comunque, di fatto, i ragazzini che adesso ascoltano revival anni '90, ascoltano "This is the rhythm of the night", non Bjork, e quelli che vorranno ascoltare musica anni 00 dubito che ascolteranno l'indie rock. Ma questo è normale.
RispondiEliminaMa che cazzo volevo dire, nel mio commento di stamattina?
RispondiEliminaNon si capisce una fava.