Assayas, si diceva. Il suo Carlos è un biopic sul più famoso terrorista degli anni ’70, «Carlos» Ramirez Sanchez: ma questo già lo sapete. E magari sapete pure che il film dura 5 ore e 33 minuti, praticamente l’eternità più un pezzo, e vedersele tutte di fila è una cosa esaltante e insieme spossante. Quello che magari non sapete è che le ore vanno via che non te ne accorgi, che Assayas rispetta tutti i canoni del cinema televisivo (ambientazioni precise, pause narrative, personaggi delineati), ma impone alle immagini quell’impareggiabile frenesia che lo ha reso fino a qualche anno fa il più bravo tra i registi del dopo nouvelle vague.
Se non fosse per le mille inquadrature di macchine che arrivano e fanno scendere della gente (che funzionano da cesura e da definizione dell’ambiente), il film avrebbe un ritmo infernale, pienamente dentro la Storia, quella grossa, quella che Carlos dice di voler fare e che ha finito per sopraffarlo. Se fosse stato un film per il cinema, Assayas avrebbe sicuramente eliminato tutte quelle cesure e trasformato il corpo, l'idea, l'immagine, del suo personaggio negli assoluti protagonisti. Fondamentalmente le cose geniali del film sono due: l’uso della musica rock, che come sempre in Assayas illumina le relazioni tra i personaggi, esaltandone il dialogo muto dei loro corpi, e il fatto che nella terza parte, quella in cui Carlos viene lentamente dimenticato, il personaggio esce praticamente di scena, non fa altro che parlare, progettare, inveire, senza mai compiere un’azione. Il film, però, al contrario del suo protagonista, non perde colpi, racconta il suo annichilimento storico attraverso scene ripetute che non portano a nulla, quasi volesse assumere su di sé l’inerzia del personaggio. Qualcuno ha detto che è la solita roba sul terrorismo anni ’70, come La banda Baader Meinhof di UIi Edel: ma Assayas è un regista, non un illustratore, e lo dimostra mettendosi ancora una volta alla prova con un’operazione che va oltre il suo cinema e finisce per riportarlo al livello dei suoi capolavori.
Chissà se Carlos arriverà mai in Italia, forse sì, magari lo prende Sky. Nel frattempo, ieri sera in Francia è andata in onda la prima puntata e i giornali hanno ne parlato come di un grande evento. Non c’e’ altro da dire, credo, sulla differenza tra i due paesi.
A proposito di essere dentro la Storia, io però voglio un tuo commento in diretta su "Hors-la-loi", il film di Bouchareb sulla guerra d'Algeria che tante polemiche sembra suscitare. La recensione su Libé di oggi non mi sembrava, dal punto di vista cinematografico, particolamente entusiasta...attendo dunque il tuo parere!
RispondiEliminaNiccolò
Pur non avendo letto la recensione di Libé, sono d'accordo con l'analisi non entusiasmante. Il film è un polpettone storico alla Tornatore, buono giusto per la prima serata di Raiuno. Vorrebbe fare l'epica (perché ci mette dentro la storia di tre fratelli vicini e divisi), ma non trova mai un minimo di coinvolgimento o autenticità. E' un filmone, di quelli belli gonfi e pomposi, e per questo dice poco.
RispondiEliminaCerto, io non conoscevo il massacro di Sétif e di quell'episodio vorrei saperne di più, perché mi sembra davvero sconvolgente. Tu lo conosci bene?
Non conoscevo la storia del massacro di Sétif, ma mi impressiona ogni volta come in Francia, mentre esiste una memoria molto più condivisa sulla Resistenza, per il passato coloniale si replicano contrapposizioni e rimozioni simili a quelle italiane sulla guerra di Liberazione. Sull'argomento ti consiglierei, ma non credo esista la traduzione italiana, il libro "Meurtres pour mémoire" di Didier Daeninckx che ricostruisce romanzandole le repressioni delle manifestazioni algerine a Parigi nel 1961.
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