Giovedì scorso hanno presentato Draquila della Guzzanti, che in Italia è uscito da una settimana. Repubblica o La stampa ne hanno parlato parecchio, come se fosse l'evento del giorno, ma in realtà qui se la sono filata molto meno di quanto in Italia si faccia credere. Del film si è parlato con i classici toni che i francesi usano quando pensano all’Italia come a un paese prossimo alla rivoluzione. Senza sapere, cioè, che la Guzzanti è, sì, una coraggiosa che non le manda a dire a nessuno, ma soprattutto che il paese vero, purtroppo, è quello di lei ne fa volentieri a meno.
Poi il film è bello e brutto allo stesso tempo, è brutto cinema che imita la televisione o ottima televisione che si atteggia a cinema, ma questo già si sapeva. In un certo senso, Draquila è una puntata di Annozero, con la Guzzanti che cerca di diventare Michael Moore ma non avendo idea di cosa sia il cinema non riesce mai a fare della sua figura un personaggio. È un peccato, perché la locandina con quella sagoma nera di spalle ricorda l’icona di Moretti in Caro Diario, quasi la Guzzanti volesse pure lei diventare il metro della realtà stessa e fare così un’operazione veramente cinematografica. Il film però rimane sulla carta e si risolve nelle polemiche che ha suscitato in questi giorni. E allora uno pensa che in fondo va a scoprire nervi fin troppo coperti della realtà italiana e finisce per ammettere che va bene, anzi benissimo. Idealmente, però, è sempre la solita storia: il cinema pensano di saperlo fare tutti, come quelli di Zelig pensano di saper scrivere libri, ma poi un film dura un'ora e mezza e la noia è sempre, nella poltrona di fianco e quasi sempre è lei a conquistare il bracciolo da contendere…
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