Wallace cita Bryan Garner, che a proposito dell'uso della lingua dice:
"... esistono ancora persone che vogliono usare bene la lingua. Voglio scrivere in modo efficace, vogliono parlare in modo efficace. Vogliono che la loro lingua sia a volte aggraziata e a volte potente. Vogliono capire come usare bene le parole, come manipolare le frasi, e come muoversi all'interno della lingua senza dare l'impressione di annaspare. Voglio usare una grammatica corretta, ma vogliono anche dell'altro: vogliono la retorica nel senso tradizionale. E cioè, vogliono usare la lingua abilmente in modo da servire i loro scopi".
Ecco, credo che il problema della democrazia stia nell'ultima frase: che chi usa la parola in modo persuasivo abbia come unico scopo quelli di servire i propri scopi. Non per il bene della retorica, ma per il bene proprio. E che quindi si instauri un rapporto di forza tra chi parla (o scrive) e chi ascolta (o legge). Chi parla impone il proprio scopo, ma si presta alla critiche, annaspa e si rende vulnerabile. Chi ascolta può reagire a sua volta, ma rimane in una posizione di passività. Chi parla attacca, mentre chi ascolta vorrebbe appassionarsi e non giudicare. E' una disparità in cui la democrazia si disperde, poiché, come spiega Wallace, gli scopi dell'autorità e gli scopi del lettore dovrebbero essere identitici e identicamente retorici. Cioè dovrebbero essere finalizzati a trasmettere, attraverso la parola, ciò di cui andiamo in cerca negli altri: devozione appassionata, ragionevolezza e senso di responsabilità, esperienza, ricerca esaustiva e pratica, un temperamento pacato e giudizioso e umile integrità.
Questo, dice Wallace, "è il massimo di democrazia che si può trovare di questi tempi".
E questo è il motivo per cui mi manca Wallace.
condivido, approvo, e - per seguire in fondo wallace - stravolgo.
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