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mercoledì 15 giugno 2011

Shock culturale

Oggi ho letto quest'intervista a David Mamet sul sito del Financial Time e a parte il fatto di sapere che l'intervistatore si è mangiato una baguette insieme con l'autore di Americani al Greenwich Village, sono stato colpito dalle posizioni politiche del commediografo e regista che un tempo ho apprezzato parecchio, quando girava twist mozzafiato come La casa dei giochi o roba ironica come Hollywood Vermont. Ebbene il signor Mamet, che bontà sua può pensare e dire quel che gli pare, non solo pensa da vero repubblicano che Obama abbia disperso un trillione di dollari chissà dove (tipica arma destroide per screditarne la politica economica) o che abbia smantellato l'assicurazione sanitaria (altra arma super repubblicana, che qui in Europa nemmeno i babbuini oserebbe tirar fuori per attaccare un avversario), ma addirittura, sempre secondo Mamet, ha indebolito l'America nel mondo (capite, no, è solo e sempre un gioco a chi ce l'ha più grosso) e naturalmente svenduto Israele. Certo, poi, se uno viene a sapere che Mamet va pazzo per Sarah Palin, che praticamente per lui tutto ciò che la fascistoide cacciatrice dell'Alaska tocca si trasforma in oro, allora capisce che un po' fuori di testa è andato. Ma a me è venuto in mente che forse noi europei di sinistra degli intellettuali americani abbiamo una visione parziale, quando non distorta, che ce li immaginiamo tutti uguali, liberal e col cappellino alla Spielberg, oppure seri e col tweed alla Franzen, e invece loro sono volgarotti e pragmatici come clienti del Walmart, ebrei e dunque pro-Israele, ricchi e dunque contro la sanità pubblica. Come i veri americani che non capiamo e non amiamo. Per cui oggi ho avuto la mia piccola lezione di provincialismo al contrario e mi sono tenuto il mio piccolo shock culturale. Anche se magari dovrebbe essere prima di tutto Mamet a stupirsi per le cose che dice e, vista la sua recente filmografia, anche per le cose che gira.

martedì 3 maggio 2011

Fuori scena

La foto che sta facendo il giro del mondo e che mostra lo staff del presidente degli Stati Uniti mentre assiste in diretta all'assalto al rifugio di Osam Bin Laden, con Hillary a trattenere il fiato e Obama seduto in disparte con l'espressione concentrata, mi ha ricordato un film di tanti anni fa, oggi dimenticato eppure bellissimo, La morte in diretta di Bertrand Tavernier, in cui si vedeva un giornalista (Harvey Keitel) filmare gli ultimi giorni di vita di una malata terminale (Romy Schneider), grazie a una telecamera impiantata nel cervello che trasmetteva a uno studio televisivo le immagini filtrate dai suoi occhi. Quasi trent'anni dopo ci siamo arrivati, per quanto le immagini trasmesse dai navy seals in Pachistan fossero montate sui loro elmetti e non nel loro cervello. Quello che soprattutto mi ha colpito in questa vicenda caratterizzata da una visibilità assoluta e al tempo stesso celata (ce lo faranno mai vedere il filmato dell'assalto? e il vero volto di Bin Laden morto?), è qualcosa che si riflette negli occhi di chi guarda, l'effetto del fuori campo su una foto storica che mostra il potere da una posizione mai così ravvicinata. Quello che Obama e i suoi uomini stanno guardando è la vita in diretta, ma come nel film di Tavernier sui loro volti si vede solo l'effetto della morte sulla vita, un'oscenità che per noi esclusi dalla stanza rimane tale (in quanto letteralmente "fuori scena") e che per loro, i potenti, diventa uno spettacolo interattivo di cui decidere l'esito finale. E' proprio vero, allora, caro vecchio Hitchcock: il potere sta nello sguardo.