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giovedì 21 febbraio 2013

Localizzare un festival

Il festival di Berlino si è chiuso sabato scorso e un po' di riflessioni su cosa un evento culturale dovrebbe essere le porta a fare. Soprattutto, per quanto involontaria sia la coincidenza, nei giorni in cui in Italia si discuteva del rapporto tra popolare ed intellettuale, tra massa ed élite, grazie a un Festival di Sanremo in cui Fazio ci ha messo tutta la sua idea di spettacolo e intrattenimento, un po' con il bastone e un po' con la carota (l'importante è che il bastone non sia troppo duro e la carota parecchio colorata), a Berlino la possibilità che i due termini, popolare e intellettuale, possano andare a braccetto era sotto gli occhi di tutti, in qualsiasi momento, in qualsiasi sala si proiettasse un film. Questo perché da quando il sistema dei festival ha cominciato a mutare, con Toronto infilatasi nella triade europea Cannes-Venezia-Berlino, con la crisi che ha ridefinito le strategie distributive dei film e soprattutto con le major che hanno smesso di considerare i festival rampe di lancio per i loro prodotti, la Berlinale, non riuscendo a tenere testa a chi nel resto del mondo ha finito per arrivare prima e meglio, per sopravvivere ha dovuto paradossalmente localizzarsi: accettare, cioè, di occupare un posto un poco defilato nel sistema dei festival e proseguire senza troppi patemi sulla propria strada, nel proprio giardino perfettamente coltivato. Che per la precisione significa un festival rivolto soprattutto al pubblico metropolitano – giovane, colto, benestante, interessato e medio – e solo in un secondo momento a giornalisti, professionisti del settore e cinefili accreditati.